giovedì 15 aprile 2010

A Pescara...

Pescara.

E' una splendida giornata di sole.
Attendo che la psicologa apra le porte del suo profumato ufficio alla mia mente eternamente cagionevole.

La piazza è gremita di gente.
I cappotti invernali, che tanto erano serviti durante il rigido inverno, diventano un fardello troppo pesante da sopportare.

Il clima cambia continuamente ma resta, comunque, la cosa più monotona di questo mondo. Imprevedibile, si, ma pur sempre monotona.
O caldo o freddo, al massimo tiepido. Che noia!

C'è un tizio che mi somiglia vertiginosamente.
E' seduto su di una delle tante e omogenee panchine marmoree.
Ha i capelli, la faccia, il cappotto e la pancia smisuratamente enormi, proprio come me.
Sta leggendo un vecchio libro, in mezzo alla folla intellettualmente arida che occupa bastardamente il suolo della piazza e che lo osserva come fosse un vecchio che si è appena cagato addosso.
E' solo. Io scrivo e lui legge. Anch'io leggo. Perchè sono un lettore. Si, sono un lettore. Davvero? No, non ci credo. Io leggo!

Si è alzato!
Cammina a vuoto. Il suo fisico rimane sempre sullo stesso perimetro. Sembra quasi che stia aspettando qualcuno o, probabilmente, qualcosa.
La serenità, forse. Allora, si, in tal caso dovrà aspettare molto, tanto, troppo, sempre.
Marcirà su questa piazza.

La serenità, purtroppo, o per fortuna, manca sempre agli appuntamenti.

(A volte è proprio la mancanza di serenità che ci porta a ricercarla, cioè a rischiare, a combattere, a crescere).

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