martedì 29 dicembre 2009

Una voce autorevole, anzi autoritaria!

"L'anzianità è una fase della vita dove, dopo essersi affrancati dalla durezza e dall' obbligatorietà del lavoro, è possibile sfogare la propria creatività, soffocata in gioventù dalla crudele e criminale esigenza di sopravvivere mediante il lavoro. L'anzianità è, dunque, recuperare il tempo passato"

Presento qui di seguito una poesia che definisce in maniera esatta quali compiti dobbiamo svolgere NOI in qualità di esseri umani. Compiti che diventano ancor più importanti, in quanto sono definiti da una persona che, data la sua età e le sue innumerevoli esperienze esistenziali, nè sa un tantino più di noi baldi, ma ignoranti, giovani.

"LA CRISI ECONOMICA" (di Anna Maria Ferri, pensionata e coordinatrice comunale di Bucchianico (CH) dell'FNP-CISL)

- Non me ne vogliate, se non mi lamento
della crisi economica, di cui, tanto parlar sento.
A me sembra di averla avuta da sempre:
sin da quando ero bambina
l'ho accettata bonariamente.
Con essa mi sono abituata a convivere,
affrontando tante rinunce e privazioni.
col passare del tempo, mantenendo, si,
un atteggiamento sobrio, ho preferito
arricchirmi interiormente
di quei tanti valori
che non temono la recessione.
Impariamo a ricercarli e a prenderne possesso
ad amarli come veri tesori:
la pace di tutta la nostra nazione,
la libertà di espressione di ogni suo cittadino,
l'amore per la famiglia, gli amici, gli esseri viventi,
la solidarietà, la bontà verso i più deboli,
la dignità di ogni essere umano affinchè
non sia giudicato solo dalla sua apparenza,
ma per il suo valore interiore,
il perdono...!
Tutto ciò ci innalza e ci dona
tanta soddisfazione! -


La semplicità stilistica e la profondità umana di questa poesia mi hanno sconvolto.
Cosi' ho capito una cosa essenziale: una poesia comune VISSUTA da una persona comune (e per questo speciale!) è più emozionante ed eloquente di una poesia complessa scritta da una persona famosa.

domenica 20 dicembre 2009

Ho paura di aver perduto tutte le conquiste fatte...IO NON SONO INTELLIGENTE!!!!!! NON LO SONO!!!!!!

Odio quando qualcuno mi reputa intelligente.
Io non voglio essere intelligente. Vedersi attribuita l'intelligenza è come camminare costantemente con un masso sulla schiena, umanamente impossibile da portare.
Essre definiti intelligenti significa essere investiti da una grossa responsabilità; responsabilità di non sbagliare, non deludere, di fare sempre e comunque il meglio.
Essere tacciati come intelligenti significa, quasi certamente, entrare in competizione con chi è invidioso della nostra (supposta) condizione di superiorità intellettuale o con chi è realmente intelligente.
Io non voglio alcuna responsabilità e competizione. Desidero vivere nella rassicurante mediocrità intellettuale, nella tranquilla e serena stupidità, cocciutagine.
IO VOGLIO ESSERE CHIAMATO "STUPIDO, IDIOTA, DEMENTE". Chiamatemi come volete ma non dite che sono intelligente. Vi avverto: chiunque osi chiamarmi intelligente si rende autore di una pesante offesa nei miei confronti. E vi scongiuro: non mi offendete; io sono sensibile (lo sono, anche se non sembra).

Già, non potete capire ciò che ho scritto. Io sono destinato alla più totale incomprensione. Nessuno potrà mai comprendere la mia essenza: io non voglio male a nessuno. Io voglio bene anche al peggiore dei mostri.
Per fortuna che le vacanze di Natale sono vicine: saranno un'ottima occasione per riflettere attentamente sulle mie condizioni interiori. Ma nel frattempo, e per tutta la mia esistenza, non chiamatemi intelligente, cioè non mi offendete.

Crudele autocritica...

Io voglio dedicare la mia vita alla difesa degli operai, dei lavoratori dipendenti tutti. Io voglio diventare un sindacalista. Voglio ma non posso.
Il sindacalista è colui che conosce gli operai e il loro ambiente lavorativo; ambiente che io non ho mai veduto e vissuto. Io non ho mai lavorato nella mia vita e pretendo di fare il sindacalista: questo è assurdo, paradossale, scandaloso, improponibile.
Il sindacalista è colui che non ha paura di ritorsioni padronali; che difende gli operai in prima linea, senza alcuna paura di esporsi.
Io, invece, sono carico di timidezza e, certamente, di viltà. Io sono un pusillanime che, quando era piccolo e ingenuo (com'è ancora) piangeva al primo richiamo della maestra. Io non sopporto rimproveri. Anzi, ho paura dei rimproveri.
Il sindacalista non può essere un pussillanime, un timido ma deve avere quella "faccia tosta" e quel coraggio indomabili.
Io sono la persona meno indicata (dal punto di vista delle esperienze e del carattere) a ricoprire il ruolo di sindacalista. Con me, gli operai diverrebbero facile carne da macello per i padroni.
Il sindacalista, nell'accezione gramsciana, è colui che combatte per l'emancipazione del proletariato, che ha l'obiettivo essenziale di educare le masse e condurle verso la rivoluzione socialista, ovvero verso la libertà. Il sindacalista è, dunque, colui che più di chiunque altro condivide e applica il fare e pensare socialisti.
Io, invece, sono un borghese malamente travestito da proletario (un proletario che non ha mai lavorato in vita sua: come sono messo bene!). Un borghese che cerca di apprendere la teoria socialista per una mera masturbazione intellettuale. Il vero socialista è colui che avverte la spiccata esigenza di praticare la teoria socialista per raggiungere il socialismo. Il vero socialista è colui che ha bisogno di un mondo rosso, socialista appunto.
Io voglio tutto questo? Credo (o fingo) di volerlo ma, in realtà, non lo voglio affatto.
Io mi trovo bene in questo mondo pieno di falsa libertà dove, per fortuna, basta essere vili per sopravvivere. Anzi, la viltà ci consente spesso di uscire dalla sfera della sopravvivenza permettendoci di VIVERE. (il vivere è l'evoluzione positiva del sopravvivere)

La conclusione è una sola (anzi, due): io non sono socialista e io non posso fare il sindacalista.
Spero che le cose cambieranno. Il vile non può far altro che sperare in un intervento magari divino.
Allora: Padre nostro che sei nei cieli....

lunedì 30 novembre 2009

Le contraddizioni in seno alla classe operaia (colpa degli operai?!)

Capo operaio, responsabile di quel settore, di quell'altro settore, sotto-responsabile, delegato di questo, quell'altro, ecc.
La borghesia, per mantenersi tranquilla e stabile nel suo stato di dominio, tenta (e ci riesce!) di creare antagonismi in seno alla classe operaia.
Mio padre mi racconta che, nella piccola impresa dove lavora come operaio, è stata introdotta la figura (già nota) del capo operaio, ossia un soggetto dipendente (dall'imprenditore) che ha il compito di coordinare e dirigere direttamente le funzioni esercitate dagli operai "semplici". Dunque: il capo operaio è una sorta di intermediario tra dirigente d'azienda e lavoratori dipendenti, ovvero gli operai.
E come viene nominato il capo operaio?
Esso (guarda caso!) viene selezionato tra gli operai "semplici". Essere capo operaio, come è facile intuire, significa percepire un salario più sostanzioso, rispetto a quello dell'operaio consueto.

L'operaio consueto (o semplice), vedendosi aumentato lo stipendio, mira ragionevolmente (visti anche i tempi disastrosi che corrono) alla "promozione", che viene raggiunta solo in seguito ad una accesa (e spietata) competizione con i propri colleghi. E, molto spesso, il capo operaio è colui che meglio SERVE l'imprenditore: quindi viene legittimata (e favorita) la riverenza "leccaculista" nei riguardi dell'imprenditore (e questo è male assoluto..)
Ma la cosa maggiormente inquietante è un'altra: gli operai "semplici" combattono tra di loro per raggiungere uno status salariale più valido (rispetto a quello regolare); questo scontro, purtroppo, crea antagonismi inutili e nocivi tra gli operai, che distolgono l'attenzione del lavoratore da quelle che sono le problematiche delle quali è quotidianamente soggetto.
Più schiettamente: la succitata competizione allontana la mente dell'operaio da un processo necessario, emancipatorio, ovvero quello di edificazione socialista.

sabato 28 novembre 2009

In treno verso Pescara (26-11-2009)

Salgo sul treno.
Prendo posto nello scompartimento di seconda classe (soltanto perchè la terza non esiste più), che ho legalmente conquistato con un biglietto di esiguo valore pecuniario.
Dinanzi a me, con una lunga e colorata tunica addosso, è seduto un signore di colore, di quarant'anni circa.
La sua testa mora è sormontata da un cappello di lana blu, di quelli che si acquistano a poco prezzo in un modesto negozio di abbigliamento.
Il signore è timido (proprio come me! siamo uguali!); mi evita con lo sguardo per paura di offendermi. "Meglio essere placidi e taciturni con gli italiani che, purtroppo, sono pieni di pregiudizio nei confronti di noi negri", gli avranno ripetuto prima di lasciare il proprio paese per raggiungere quel falso paradiso qual'è l'Italia ("L'Italia è un paese civile dal punto di vista igienico ma non da quello culturale e, appunto, civile": chi lo disse?!).
Molti dicono: "gli stranieri sono schivi, non danno confidenze a noi italiani. Nel loro silenzio covano l'odio più spietato che, puntualmente, scaricano sulle nostre donne, italiane"
Il silenzio dell'uomo di colore del treno è, dunque, l'embrione di un odio interiore, profondo e muto?
No, non ci credo; non posso crederci.
Quell'uomo, nei suoi occhi sinceri ed eloquenti, racchiudeva una tale tenerezza che, difficilmente, utopisticamente, poteva tramutarsi in violenza (sulle donne, poi!).
Ho fiducia in quell'uomo; la sua pelle nera non mi crea alcun timore, anzi: sono ben felice di sedere vicino ad un uomo di colore, un africano probabilmente.
Vorrei stringergli la mano (o addirittura baciarlo!) ma non mi è consentito.
Gli italiani sono macchiati e accecati dal pregiudizio; e io sono un italiano che, per colpa di quell'odioso (ma fascinoso) medium di massa, ossia la televisione, è come tutti gli altri.
Ah, già: la televisione......."E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce"

giovedì 26 novembre 2009

Pensiero derivante da (e non sò il perchè) "Sonetto alla libertà" di Oscar Wilde....

La democrazia è un terribile mostro camuffato,astutamente e credibilmente, da tacito e placido infante.Per smascherare(e rivelare)il mostro bisogna ricorrere ad una sostanza caustica(quale?)capace di cancellare anche la minima(e remota) conoscenza della democrazia.Ma se l'inverso della democrazia è la dittatura,quale possibilità abbiamo di liberarci da quel mostro,che nel suo travestimento fatalmente dura?

lunedì 16 novembre 2009

Monoteismo o politeismo?


Il cristianesimo è una religione monoteista?

Prendendo una pagina web qualsiasi, troviamo questa definizione del cristianesimo: "il cristianesimo è una religione MONOTEISTA a carattere universalistico, fondata sull'insegnamento di Gesù". Bene, secondo questa definizione tratta da "Wikipedia", il cristianesimo è una religione monoteista. Cosa si intende per monoteismo? Il monoteismo è la fede in una sola divinità, identificata come Dio.
Il cristianesimo, inoltre, si suddivide in tre "sottogeneri": protestantesimo, ortodossi, cattolicesimo.
E proprio del cattolicesimo che voglio parlare.
Quindi: il cattolicesimo è una forma di religione monoteista?
I cattolici venerano un solo Dio?
Per rispondere alle succitate domande, avverto l'esigenza di narrare una storia, che ha visto come protagonista una donna, una mia conoscente.
Questa donna, che chiamiamo ipoteticamente Marisa, aveva una marito, con il quale aveva "prodotto" uno splendido figlio.
Questo suo figlio, appena diciottenne, rimase coinvolto in un incidente, che lo gettò in un penoso stato di coma profondo. Le condizioni del giovane erano disastrose ma stabili. Marisa era devastata dallo sconforto più torvo e delirante. Cosa poteva fare per aiutare il suo povero figlio inerme?
Rivolgersi al divino era l'unica soluzione accettabile e, probabilmente, produttiva.
Marisa soggiornò per alcuni giorni a San Giovanni Rotondo (dimora del FANTOMATICO Padre Pio da Pietralcina), dove pregava notte e giorno. Il figlio, però, non si riprendeva. Cosi', ancor più convinta dalla strada spirituale, propose ai medici il trasferimento del suo povero figlio nella "Casa del sollievo e della sofferenza". Il figlio venne prontamente collocato nella struttura ospedaliera, creata dallo stesso Padre Pio ed ubicata in San Giovanni Rotondo.
La madre continuava a pregare. Pregava, pregava, pregava e pregava. Lei si rivolgeva ad un'entità superiore, chiedendo con estrema riverenza la guarigione del figlio.

Marisa dava del "lei" al suo interlocutore astratto. "Salvate mio figlio, non chiedo altro. Vi prego, non fatelo morire. Vi supplico, salvatelo. Siete la mia sola speranza, voi solo potete guarirlo. Vi prego!", diceva con sincera disperazione. Spendeva fiumi di lacrime ogni giorno. Le sue forze fisiche vennero terribilmente minate dalle snervanti e reiteranti preghiere. Il figlio restava in coma, ma la donna continuava a pregare. Pregava senza sosta.
Ma chi pregava Marisa? A chi erano rivolte le sue suppliche? A chi affidava le sue speranze? Si rivolgeva a Dio? No. Le sue preghiere, le sue speranze, le sue suppliche erano rivolte a San Pio. Dio non veniva neanche citato nelle sue lunghe e tormentate preghiere. Marisa si rivolgeva a San Pio. Solo a San Pio.

Il figlio di Marisa mori' tra le mura della "Casa del sollievo e della sofferenza".
La donna interpretò l'accaduto come il frutto della idilliaca volontà divina e ne fu quasi contenta.
"Adesso lui è in cielo. Probabilmente avrà gia incontrato il buon Padre Pio, che lo ha assistito nel lungo periodo di sofferenza".
(La bontà divina, comunque vada, c'entra sempre)

Adesso:
"Il monoteismo è la fede in una sola divinità, identificata come Dio". Nel caso di Marisa, c'è la fede in una sola divinità, ovvero Dio? Oppure Padre Pio è Dio? Un cattolico, facente parte di una religione monoteista, dovrebbe rivolgersi unicamente a Dio o può anche dialogare con altri soggetti metafisici? Il cattolicesimo, nella sua pratica, è realmente una religione monoteista?
La chiesa, come tutore della retta condotta religiosa, non dovrebbe impedire che ci siano degenerazioni politeistiche (semmai tali degenerazioni ci fossero)?

Restano inevase le mie domande?

Infine:
C'è una differenza tra le molteplici divinità romane (o greche) e i diversi santi protettori facenti parte della nostra religione monoteista?

sabato 14 novembre 2009

La storia dell'uomo che invece di combattere e vincere, tentò di cambiare e perse.

Vastaso, un modesto impiegato, aveva deciso di trascorrere la serata in maniera del tutto inusuale. Egli desiderava ardentemente uscire dal suo modesto e angusto status sociale per sentirsi, almeno per una sera, socialmente elevato. Da piccolo-borghese a borghese: avvertiva la necessità di un simile salto, anche solo per una sera.
Il teatro era il luogo ideale. Il teatro: la dimora dell'alta borghesia.

L'impiegatuccio decise di lasciare la povera moglie a casa e data la sua mansione di casalinga, si sarebbe trovata più che bene tra le mura domestiche. Due biglietti sarebbero costati troppo e loro soldi non ne avevano a sufficienza.
Vastaso estrasse abilmente il suo vestito elegante dal fatiscente armadio che occupava un angusto angolino della stanza da letto e dopo averlo opportunamente indossato ed essersi cosparso di acqua profumata, varcò il portonaccio ligneo della sua triste abitazione per raggiungere il grande teatro della città.
La moglie, il cui fisico era stato irrimediabilmente corrotto dalle fatiche domestiche, lo fissava con malinconica invidia. Avrebbe preferito seguirlo, ma non poteva. Inoltre, ad una casalinga è biologicamente vietato entrare in un teatro.


Avvocati, medici, industriali, commercianti: il teatro era occupato da gente "perbene", gente che ci sa fare, che può tranquillamente permettersi una serata al teatro, pagando magari il biglietto all'intera platea.
Vastaso acquistò immediatamente il suo biglietto. Lo tenne stretto tra le mani come fosse un lingotto d'oro che avrebbe cambiato positivamente e sempiternamente la sua esistenza.
Entrò timidamente nell'immenso teatro. Dopo un momento iniziale di timido smarrimento, il suo sguardo da impiegato venne catturato dall'iperbolica grandiosità dello spazio scenico. Un gigantesco palcoscenico, la cui scenografia era oscurata quasi interamente da un folto sipario rosso fiamma. Infatti era visibile soltanto il proscenio che si presentava mille volte più grande del piccolo palco sul quale, da giovane, Vastaso partecipava alle recite parrocchiali. In quel dato momento, la sua mente ed il suo cuore vennero conquistati dal ricordo di suo padre, un uomo fisicamente e psicologicamente cagionevole che mori' suicida all'età di quarantacinque anni. Lo sguardo di Vastaso si distolse dal palcoscenico.
Il pensiero del suo caro padre defunto accendeva un potente fuoco nel suo cuore. Un'emozione fortissima dominava il suo fisico e fu proprio in quel momento che Vastaso si vergognò del soggetto dei suoi pensieri. "Sono in un teatro, tra la gente perbene. Come posso pensare a quel debole di mio padre? Questa sera sono forte. E' ridicolo stare in un teatro e pensare al proprio padre defunto". E subito smise di pensare al padre e tornò ad ammirare l'incredibile palcoscenico.
Si impegnò alcremente per trovare il suo posto a sedere.
Leggendo sul prezioso biglietto, vide il numero della sua poltrona. La numero 56.
Lentamente si muoveva tra le comode e sfarzose poltrone rosse mentre i suoi occhi restavano fissi sul palcoscenico.
La sala si riempi' immediatamente di genti stupendamente vestite e ornate di preziosi gioielli luccicanti.
Lo spettacolo stava per cominciare.
Vastaso aveva occupato il suo posto. Un'anziana donna era seduta alla sua destra mentre la poltrona alla sua sinistra era occupata da un giovane sui trent'anni. Vastaso ne aveva cinquanta e si riteneva profondamente vecchio. Lamentava continuamente dolori fisici dovuti, secondo il suo inespertissimo parere, allo sfiorire della giovinezza e al mordace mostro della vecchiaia che progressivamente lo attirava tra le sue fauci bavose.
Lo spettacolo, come sempre accade, tardava a cominciare.
Vastaso, senza ritegno, gettò i suoi occhi sulla grandiosa pelliccia indossata dalla donna seduta al suo fianco.
Un favoloso pellicione marroncino, prodotto con pelo di visone, probabilmente. Gli occhi dell'impiegato erano illuminati da un interesse spasmodico nei confronti di quell'indumento che rasentava il sacro. Senza accorgersene, disse ad alta voce: "Mi piacerebbe regalarla a mia moglie...ma con quali soldi?". La donna si voltò rapidamente e notò lo sguardo spudorato di Vastaso, gettato sulla sua calda pelliccia. Un'espressione di profondo sdegno accompagnò la rugosa faccia femminile. Vastasto era come incantato da quel magico pelo. La donna, presa dalla collera, si alzò rapidamente e cambiò posto.
Vastaso continuò a seguirla con lo sguardo. Sembrava avesse visto una creatura paradisiaca, un angelo sceso sulla terra che lentamente tornava nella sua dimora originaria: il paradiso celeste.
La poltrona di destra era vuota. La donna se ne era andata chissà dove.
Vastaso non aveva nulla da guardare. Cosi', quasi istintivamente, si voltò dalla parte opposta e prese a scrutare il giovane posto alla sua sinistra. Questi indossava un elegante completo nero, ornato da una fulgida cravatta rossa e squisitamente accompagnato da un paio di scarpe nere, parecchio costose e lucenti. La loro estrema lucentezza avrebbe accecato qualsiasi occhio umano ma non quello interessato di Vastaso. Gli occhi di un impiegato resisterebbero a tutto pur di ammirare un paio di scarpe esclusive e, ahimè, irraggiungibili.
Vastaso fu come fulminato da quelle calzature angeliche. Le desiderava ma sapeva bene che il suo desiderio era destinato ad infrangersi. Nonostante la chimera, egli continuava imperterrito ad osservare quelle scarpe. E sognava di averle.
Il giovane, accortosi degli sguardi inopportuni ai quali erano soggetti le sue calzature, si rivolse apertamente al suo vicino: "Per quale assurdo motivo sta fissando cosi cocciutamente le mie scarpe?", disse stizzosamente.
Vastaso non rispose. Era troppo impegnato a guardare.
Il giovane, ancor più in collera di prima, ripetè la domanda: "Dico a lei. Perchè continua a fissare le mie scarpe?!". Il silenzio più totale. Vastaso non aveva intenzione di rispondere al giovane. La sua mente e i suoi occhi erano troppo impegnati ad osservare quel miracoloso prodotto della laboriosità umana.
Improvvisamente il giovane, carico di rabbia, si tolse le scarpe e le gettò lontano, quasi fin sotto il palcoscenico. Adesso indossava i soli calzini. Il trentenne si sentiva profondamente soddisfatto. Gonfiò il petto e lanciò un timido sorriso di viva autoammirazione.
Per Vastaso non era accaduto nulla. Le scarpe non c'erano più e allora cominciò ad osservare attentamente la cravatta rossa. I suoi occhi brillavano di gioia. Godeva spasmodicamente nel vedere quella cravatta. Disse con voce timida e malinconica: "Magari potessi averne una uguale...". Il giovane riusci' a udire la voce dell'impiegato e velocemente rispose: "E perchè non corre a comprarsela, cosi' la smette di guardarmi come un deficiente!".
Vastaso udi' il "deficente" e subitò staccò lo sguardo dalla cravatta, per gettare gli occhi su quelli del suo vicino. La felicità che poco prima era dipinta sul suo viso, scomparve immediatamente, lasciando spazio ad un'espressione carica di disperazione. Vastaso si era offeso. Profondamente.
Il giovane iniziò a temere qualche violenta risposta. Aveva pur sempre dato del "deficiente" ad uno sconosciuto.
Il viso di Vastaso cominciò a tingersi di rabbia. La rabbia dell'impiegato sarebbe stata implacabile, se solo si fosse sfogata. La paura del giovane cresceva esponenzialmente. Vastaso era furioso. A momenti avrebbe colpito colui che lo aveva insultato, con un violento pugno sul viso. Avrebbe cosi' risposto prontamente all'insulto proferito nei suoi confronti.
La rabbia cresceva. La faccia di Vastaso divenne famelicamente feroce. Il giovane temeva per la sua incolumità.
Vastaso fece schioccare le sue dita. Si stava preparando al pugno. Il giovane, data la paura, probabilmente non avrebbe reagito al pugno del suo vicino di poltrona.
Vastaso si corciò la manica destra della giacca. Il giovane era immobilizzato dalla paura. Il suo giovane viso si era tinto di bianco. Il trentenne sembrava invecchiato tutto di un tratto, come se la vecchiaia avesse anticipato vertiginosamente i tempi della sua venuta.
Vastaso alzò minacciosamente il braccio destro e chiuse ermeticamente la mano. Le massicce dita impiegatizie formavano un micidiale pugno che avrebbe flagellato il naso del povero giovane, anche se fosse stato il naso di una scultura marmorea.
Il bracciò prese una lunga rincorsa. L'obiettivo stava per essere colpito da quel terribile pugno.
Il braccio si distendeva minacciosamente. Nessuno avrebbe salvato il naso del povero giovane. Nessuno.

Il giovane chiuse gli occhi. Il pugno sarebbe arrivato a destinazione ed il suo naso avrebbe subito un duro colpo. Un colpo fatale, brutale, micidiale.
Il giovane era rassegnato. Si avverti' un potentissimo colpo: un rumore di ossa infrante. Ecco,è successo.

Il giovane non avvertiva nessun tipo di dolore. Un urlo di estremo dolore si diffuse tra la platea.
Il giovane apri' rapidamente gli occhi. L'apparente vecchiaia abbandonò il suo viso e la serenità giovanile tornò a dipingere il suo volto. Con stupore, il giovane vide Vastaso a terra, con le mani piene di sangue e il naso rotto.
Vastaso piangeva per il dolore. Il giovane non capiva cos'era successo. Vastaso cessò di urlare e rapidamente si voltò verso il giovane e disse con voce tremante e riverente: "Mi dispiace, non intendevo offenderla con il mio sguardo" e indicando il suo naso frantumato, continuò: "questa è la giusta punizione per la mia imprudenza. La prego di perdonarmi. Mio signore..."
Il giovane era il figlio di un noto banchiere ed avrebbe presto ereditato la banca paterna.
Vastaso venne assunto dal giovane come "schiavo personale".

La pedofilia di Maometto (e Sant'Agostino)


Daniela Santanchè, nell'ormai noto teatro di "Domenica Cinque, ha lanciato l'ennesima elucubrazione carica di onestà e acume, doti che gli appartengono particolarmente.
Il leader del novello "Movimento per l'Italia" ha affermato che Maometto è "un pedofilo perchè aveva una bambina di nove anni come moglie".
A questo punto io mi chiedo: può essere considerato "pedofilo" un soggetto vissuto tra il 570 e il 632 d.c.?
Ma la brillante Daniela Santanchè ha immediatamente risposto a questa domanda. Infatti, Maometto è considerato un pedofilo secondo i valori della nostra società. Quella cristiana, presumo.
Bene. Se consideriamo Maometto come un pedofilo, per quale motivo non dobbiamo considerare come tale anche S.Agostino, personaggio essenziale della "nostra" società cristiana?
Infatti, il buon S. Agostino, fautore dell'"Ama e fa ciò che vuoi" e già concubino, possedeva come amante una bambina di dieci anni. Quel santone di Agostino aveva una relazione con una fanciulla di dieci anni. Lo sapevate?Certamente, no.
A questo punto, una cosa è certa: il santissimo Sant'Agostino è meno pedofilo del demoniaco Maometto, perchè la moglie di Maometto aveva nove anni mentre l'amante di Agostino ne aveva dieci. C'è dunque un anno di differenza.
Se (prendendo come buona l'affermazione della Santanchè) consideriamo Maometto come un pedofilo, allora anche Sant'Agostino merita di essere considerato nel medesimo modo. Un'ulteriore quesito si propone: può un pedofilo divenire santo? Evidentemente si.
Il mio desiderio però non è quello di denunciare la biografia agostiniana bensi' è quello di criticare una macabra tendenza che sta meschinamente prendendo piede in seno alla nostra società. Infatti, la tendenza degli "integralisti" cattolici è quella di denigrare e dipingere demagogicamente le altre religioni concorrenti, con maggiore attenzione a quella musulmana. Il tentativo di soggetti come Daniela Santanchè è quello di ricorrere a determinati slogan utili ad impattare violentemente contro l'apparato emotivo dell'ascoltatore, creando in esso un sentimento di istintivo odio e mordace disprezzo nei riguardi di un dato gruppo di soggetti. Il cattolico, oggi, ha il sacro compito di denigrare, svalutare e minare le altre religioni monoteiste che possono, in qualche modo, sottrarre consensi a quella cristiana. I dieci comandamenti diventeranno undici. L'undicesimo reciterà questo: "Disprezza colui che appartiene ad una religione diversa dalla tua".
Concludo con un augurio: spero vivamente che programmi televisivi come "Domenica Cinque" vengano immediatamente e inequivocabilmente soppressi. La nostra intelligenza è in serio pericolo.

Il PD (meno L): ed è proprio questo il guaio!


Voglio qui sfatare un luogo comune, secondo il quale il PD sarebbe una fazione politica di sinistra. Il Partito Democratico, che al suo interno racchiude cattolici, radicali e chi più ne ha più ne metta, non può ritenersi ed essere ritenuto un partito di sinistra.
Le dichiarazioni di Michele Emiliano (segretario del Partito Democratico in Puglia e sindaco di Bari) appaiono, e sono, piuttosto eloquenti. Emiliano parlava cosi' a L'Espresso il 23 luglio del 2009: "[...]dobbiamo avere il coraggio di dire che il PD è un partito fraternamente anticomunista".
Il PD, secondo Michele Emiliano (e non solo), non è un partito comunista. Anzi, si oppone alacremente all'ideologia comunista. Silvio Berlusconi, l'uomo dalla "caratura imparagonabile", ha proprio ragione: i comunisti sono una cancrena per la nostra società e vanno combattuti (sich!).
Ma se il PD non è comunista, sarà almeno socialdemocratico. No. Emiliano continua: "la nostra identità non sarà quella socialdemocratica ma democratica, in senso Obamiano" (ancora questo Obama!). Ne comunisti, ne socialdemocratici.
Cos'è dunque il Partito Democratico? Un partito di sinistra non lo è certamente.
Il neo segretario nazionale P.Luigi Bersani ci offre una risposta netta e inequivocabile: il partito democratico è un "partito popolare".
Ma una volta, non erano i comunisti ad essere popolari?

mercoledì 11 novembre 2009

Una pestifera mediocrità

"I miei sogni sono perennemente popolati da quei tronchi lunghi e snelli, sormontati da compatti batuffoli di foglie appuntite."


Desidero trasferirmi a Roma. Vorrei trascorrere la mia esistenza tra le confortevoli rovine dell'impero romano e le stupefacenti costruzioni pre-novecentesche e fasciste.
Questo bisogno fisiologico mi affligge: Roma deve essere la mia città, la mia culla, la mia eterna casa.
Vivere e lavorare a Roma. Magari in un teatro, come regista. Fare il regista teatrale a Roma.
Trascorrere le domeniche fuori dalla città per esplorare luoghi come l'Agro Romano, Aprilia, Anzio, Nettuno.
Il solo atto del pensare a luoghi del genere mi rende vittima di una profonda e paralizzante emozione (positiva o negativa?).
L'Agro Romano è una sorta di paradiso minore che circonda e introduce il grande paradiso: Roma.
Mi piacerebbe avere un terreno sull'Agro Romano. Coltiverei ortaggi nel mio tempo libero. Il raccolto lo regalerei a chi ne ha bisogno.

Quel film mi ha cambiato la vita. Quel film mi ha cacciato in un brutto pasticcio: ha creato il desiderio romano e nel medesimo istante ha rafforzato la consapevolezza dell'inesaudibilità dello stesso. Quale film? Quel film: "Caro Diario".
La Garbatella, Vigne Nuove, Monteverde, Casal Palocco, Spinaceto (Spinaceto!!): esistono realmente luoghi del genere?
In un primo istante, ho creduto che "Caro Diario" fosse la prima opera fantascientifica di Nanni Moretti. Poi mi sono prontamente corretto: Roma esiste. Io la voglio. Ma non posso.
Perchè non posso?
Perchè sono un'idiota, ignorante e incapace. Un mediocre che si è radicato in luogaccio (Roseto) che, per pigrizia e timidezza, non riuscirà mai ad abbandonare.
Il mio desiderio di vivere a Roma è vanificato dalla mia stessa volontà. Io voglio ma non posso, per colpa mia.
Spesso mi dico: conquisterò Roma. Poi aggiungo: conquisterò Roma come Napoleone ha conquistato l'Inghilterra. Quindi, non conquisterò mai realmente (o effettivamente ) Roma.
La mia vita sarà contraddistinta da continuo desiderio inappagato.
Il mio destino (esiste il destino?) si è espresso in maniera netta: Roseto resterà la mia città, la mia culla, la mia squallida abitazione.
Non ho neanche il coraggio di morire.

lunedì 9 novembre 2009

La mia conversione!

Oggi mi sono reso protagonista di un evento che ha cambiato radicalmente la mia esistenza da miscredente. Io credo in Dio, dopo quello che mi è successo oggi. Dio è buono. La sua bontà mi lascia increbilmente felice. Quasi non credo che un tale essere possa disporre di una tale bontà. Io amo Dio. Lo adoro. Voglio venerarlo per tutta la vita.

Quello che mi è accaduto oggi è straordinario. Un miracolo!
Il miracolo è la prova dell'esistenza di Dio. Dio è buono!

La mia vita è cambiata. Sono un uomo nuovo. Sono un servo di Dio. Un umile servo disposto a farsi bastonare dal suo padrone iperbolicamente benevolo, filantropico, caritatevole, onnipotente e onnisciente.

Oggi stavo uscendo di casa, con addosso la mia assurda e meschina miscredenza. Come potevo uscire di casa con al collo il greve mostro dell'ateismo, che opprimeva e mistificava la mia esistenza?
Scendevo le scale della mia casa infedele. Mia madre, mio padre e mio fratello: non vanno mai alla messa della domenica. Sono degli infedeli! Come posso vivere in un tale ambiente? Il demonio è in agguato e come una cappa impenetrabile aleggia sulla mia casa. Satana ha conquistato il corpo e la mente dei miei familiari. Io ho trovato la luce di Dio. Sono sfuggito al demonio.

Dopo aver varcato il cancello, sono uscito sulla fredda strada invernale. C'era molta nebbia. Una nebbia fittissima, di una densità quasi soprannaturale. Un segno divino, certamente.
La visibilità era praticamente nulla. Mi sembrava di essere cieco.
Presi a camminare lentamente. Mantenevo la testa bassa e lo sguardo fisso sulla strada, per distinguere bene i miei passi e capire dove mettevo i piedi.
Improvvisamente vedo una strana sostanza a pochi centimetri dal mio piede. Una sostanza bruna. Le mie narici vengono invase da un leggero ma nauseante odore. Era una merda. Di cane, probabilmente. In quel momento ero sovrappensiero. I miei occhi avevano veduto quell'infausto elemento ma, sul momento, non pensai affatto che potevo calpestarlo.
Improvvisamente il mio piede ha magicamente (anzi, miracolosamente) varcato l'escremento senza toccarlo minimamente.
Non ho calpestato la merda! Un miracolo!
Dio ha evitato che la mia dolce scarpa si macchiasse di cacca.
Dio è infinitamente buono!
Non posso pensare che ho rischiato di calpestare una merda e solo grazie a Dio mi sono salvato. La bontà divina è straordinariamente grande.

D'ora in poi servirò Dio con una tale riverenza da fare invidia ai più grandi e retti servi di Dio, come San Pio da Pietralcina.

Padre Pio da Pietralcina? Forse è stato lui a salvare la mia scarpa dalla demoniaca merda...ma certo, non può essere stato che lui, il più grande esecutore di miracoli che l'umanità abbia mai conosciuto.

Servirò Padre Pio. Dio è buono ma Padre Pio di più.

Mio dio Padre Pio, ti dedico questa preghiera:

"PADRE PIO, che sei a S.Giovanni Rotondo, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo cosi' in terra. Dacci oggi il nostro miracolo quotidiano, e ridacci i nostri denari come noi li diamo a te, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male."

giovedì 5 novembre 2009

L'egemonia capitalistico-borghese sul cinema italiano

I cinepanettoni, tanto apprezzati e difesi dalla massa, costituiscono l'esempio lampante dell'influenza capitalistico-borghese sull'arte cinematografica.
L'attuale società (la nostra) dominata dal potere borghese (ovvero delle multinazionali e della grande imprenditoria) non fa altro che rispettare una "norma" fondamentale di ogni epoca storica: il potere economico e politico influenza (e addirittura caratterizza) l'arte. L'arte non è altro che un'interfaccia di chi detiene il potere economico: questo accadeva con Goldoni e accade con i cinepattoni e i "mocciosi" (ossia i subprodotti per subumani di Federico Moccia).

L'influenza esercitata dal potere capitalistico-borghese sull'arte cinematografica non è per nulla dissimile da quella travagliata dal regime fascista sul cinema (cinema dei telefoni bianchi): anestetizzare le masse allontanando la loro mente dalle tematiche socialmente utili, ovvero insidiose per il regime (sia esso fascista o capitalistico-borghese, semmai ci fosse una differenza).

Prendiamo un cinepattone.
Nel famoso "film di natale" assistiamo a vicende che hanno per protagonisti personaggi appartenenti alla medio-alta borghesia: medici, avvocati, architetti, industriali, eccetera. Può un operaio permettersi un viaggio a New York, Beverly Hills, ecc. soggiornando in lussuosi hotel?
Credo di no. Il cinepanettone racconta un mondo borghese nella maniera borghese, ovvero mostrando vicende vacue dal punto di vista dei problemi che affliggono i deboli.
Se non viene raccontato l'operaio, come possono essere affrontate tematiche che lo riguardano?

Ma il carattere inquietante è uno: i deboli sono contenti di essere ignorati e si divertono nel vedere un mondo che non gli appartiene (e mai gli apparterrà). Ridono dell'imbroglio ordito dal potere borghese nei loro confronti.

Inoltre:

Il boom economico segna, in Italia, l'ascesa del potere capitalistico-borghese che vedrà rafforzata la sua egemonia culturale, politica, economica grazie alla spasmodica diffusione del mezzo televisivo. (La televisione: ciò che è mancato ai regimi storici come quelli fascisti e in alcuni casi comunisti).
Il regime fascista non è riuscito a caratterizzare interamente il mondo culturale, politico ed economico. Il regime capitalistico-borghese ci sta riuscendo. E' in atto il genocidio delle menti pronosticato da Marx: il consumismo, il maniacale "stare al passo con i tempi", il dandismo sono diventati caratteri essenziali dell'agire e del pensare delle masse odierne.

Una piccola elite resiste.
Il potere borghese ha sovvertito anche il concetto stesso di elite. Se nel passato remoto, l'elite veniva considerata come un qualcosa di negativo, oggi essere definiti "elitari" significa ricevere un complimento. L'elite di oggi è quella positiva aristocrazia che si dissocia dalle menti delle masse manipolate dal meschino potere capitalistico borghese.
Dicevo: il boom economico segna l'avvio dell'egemonia capitalistico-borghese. E allora pongo questo quesito:
Perchè dopo il boom economico scoppiò la moda del "cinema erotico alla Alvaro Vitali" privo di senso e di contenuti socialmente utili?
Il cinema "qualunquista" di Lino Banfi, Alvaro Vitali, Gianfranco D'Angelo, JERRY CALA, è lo specchio evidente del dominio capitalistico-borghese, proprio come i cinepanettoni.
Rossellini, De Sica, Monicelli, Risi, PASOLINI: non esistono più. E mai torneranno

Qualcuno, come Nanni Moretti, resiste.
Altri (vedi Matteo Garrone) trascorrono le loro vacanze in Sardegna con la squallida compagnia di personaggi del calibro di Valeria Marini...

lunedì 2 novembre 2009

Bello, Bellezza (da Voltaire)

Spesso noi attacchiamo (e condanniamo) la civiltà islamica per le sue leggi e le sue consuetudini, le quali ci appaioni squallide, brutte, insensate, crudeli e chi più ne ha più ne metta.
A tal proposito voglio inserire uno spezzone tratto dal "Dizionario Filosofico" di Voltaire, che si presenta sotto la voce "Bello, bellezza": (tutto è relativo)


"Chiedete a un rospo cos'è la bellezza, il bello assoluto, to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi
due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. Interrogate
un negro della Guinea: il bello è per lui una pelle nera, oleosa, gli occhi infossati, il naso schiacciato.
Interrogate il diavolo: vi dirà che la bellezza è un paio di corna, quattro artigli e una coda. Consultate infine i
filosofi: vi risponderanno con argomenti senza capo né coda; han bisogno di qualcosa conforme all'archetipo del bello
in sé, al kalòn.
Assistevo un giorno a una tragedia, seduto accanto a un filosofo. «Quant'è bella!», diceva. «Cosa ci trovate di
bello?» domandai. «Il fatto,» rispose, «che l'autore ha raggiunto il suo scopo.» L'indomani egli prese una medicina che
gli fece bene. «Essa ha raggiunto il suo scopo,» gli dissi, «ecco una bella medicina!» Capì che non si può dire che una
medicina è bella e che per attribuire a qualcosa il carattere della bellezza bisogna che susciti in noi ammirazione e
piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato questi due sentimenti e che in ciò stava il kalòn, il bello.
Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si rappresentava la stessa tragedia, perfettamente tradotta, ma qua faceva
sbadigliare gli spettatori. «Oh, oh,» disse, «il kalòn non è lo stesso per gli inglesi e per i francesi.» Concluse, dopo molte
riflessioni, che il bello è assai relativo, così come quel che è decente in Giappone è indecente a Roma e quel che è di
moda a Parigi non lo è a Pechino; e così si risparmiò la pena di comporre un lungo trattato sul bello".
L'esistenza di dio, o la sua assenza,
non mi è remota
abbiamo appuntamento tutti i giorni

ora di pranzo, lui si materializza,
si transustanzia in un
campari soda

CLAUDIO LOLLI

Quello che mi ha colpito, a livello formale, è l'aver scritto "dio" con la lettera minuscola, quasi in segno di disprezzo nei riguardi del divino. Anzi, più che disprezzo direi una ragionevole mancanza di rispetto: "perchè devo rispettare un qualcuno (o un qualcosa) al quale non credo e dal quale non ricevo rispetto?".
dio ci disprezza. Il suo incorruttibile silenzio denigra l'essere umano, il quale ha l'innato bisogno di attribuire un certo senso alla propria esistenza. Il silenzio di Dio soddisfa parzialmente questo bisogno, bene che vada.
La mutezza divina può essere infranta? No. Semplicemente perchè dio non esiste.

La conclusione (o l'insegnamento) che traggo da questa sacra poesia è questo: ognuno ha il suo dio.

Il sole irriverente

"Tra cinque miliardi di anni il sole scoppierà. L'esplosione sarà talmente forte che la Terra verrà completamente distrutta e la razza umana annientata."


Il sole aveva smesso di illuminare e riscaldare.
La Terra era diventata buia e fredda. Era sempre inverno.
L'estate non esisteva più.
Ci furono diverse manifestazioni di protesta. "Rivogliamo il sole!", gridavano furiosamente i manifestanti. Questi credevano che il sole era stato portato via da chi deteneva il potere. Sempre il potere, sempre colpa del potere. Ma nessuno aveva rubato il sole.
Il sole se ne era andato da solo. Autonomamente e arbitrariamente.
Era stufo di assistere gli umani, che non meritavano la sua sacra presenza.
"Irrispettosi, cinici, violenti, ipocriti, ignobili siete voi!", aveva urlato il sole rivolgendosi agli umani.
E cosi' aveva deciso di partire, attraversare la galassia per arrivare fino a Plutone. Plutone: aveva davvero bisogno di luce e calore.
Il sole desiderava solitudine e tranquillità. E Plutone, con la sua iperbolica isolatezza, era il luogo ideale per soddisfare il bisogno solare.

Gli esseri umani soffrivano a causa del continuo e pesante gelo. Molti morivano. Troppi.

Un piccolo drappo di uomini, a bordo di una avveniristica navicella, parti' alla volta di Plutone per intrattenere un dialogo con il sole e convincerlo a tornare al suo posto originario, naturale.
La razza umana attendeva trepidamente l'esito dell'incontro. I baldanzosi uomini erano arrivati a destinazione ma da quel momento non si ebbe più alcuna notizia di loro. Che fine avevano fatto? Passarono diversi giorni. Nessuna risposta. Cominciarono a darli per dispersi. Le speranze umane di rivedere l'equipaggio e il sole erano ormai svanite.

Intanto la gente continuava a morire.
Tutti gli esseri umani presero una decisione: avrebbero costruito un mastodontico termosifone per sostituire il sole e riscaldare cosi' il globo.
Per la luce solare, c'era tempo. Adesso l'importante era riscaldarsi per sfuggire al freddo inumano.

Iniziarono i lavori. Si lavorava notte e notte: il giorno non sussisteva più. Passarono degli anni. Lunghi anni.
Fatiche e bestemmie: il termosifone salvavita era quasi concluso.
Tutto era pronto per la sua installazione. La terra era finalmente salva. Le morti dovute all'assenza del sole erano ormai giunte al termine.

Improvvisamente un tiepido e timido raggio di luce invase la Terra. Tutta.
Cosa stava accadendo?
Gli umani non ci misero poco a capirlo: il sole stava tornando!

La luce divenne sempre più forte fino a quando la comune palla di luce gialla era nuovamente ricomparsa a brillare nell'azzurro cielo.

La felicità era alle stelle. Il sole era tornato!
Feste, musiche, banchetti, risse, fuochi d'artificio: la radiosità e il calore umani erano nuovamente tornati.

CINQUE MILIARDI DI ANNI DOPO, il sole aveva fatto il suo ritorno sulla Terra.

EPURAZIONE della M***A (f******a)

Cade la sostanza, bruna
immane, morbida,
infame, Fetida.

astrattezza fisica,
immondo l'ambiente.
il fetore

sale, scende.
(acqua, aria)
scompare.

sabato 31 ottobre 2009

Il prodotto dell'immobilità pomeridiana

Sono seduto sul freddo divano del mio tiepido salotto. Poca luce. Luce solare. Il sole è quasi sceso dietro le immote e immonde colline. Il tramonto è vicino. Un tramonto invernale perciò meno infernale.
Siedo. Penso.
Parole. Queste:
LACCA, CACCA, CASACCA, TURIDDU MACCA, GIULIVO, GULLIVER, SANDALO, CASSONETTO, GIULIETTA, ROMEO, CASTA, OMELIA, OSTIA, PRETE, SETE, ACQUA LETE (pubblicità occultamente involontaria)

Una parole tira l'altra.
La mente umana agisce come una razionale fiumana di informazioni.
L'autonomia totale non sussiste; è un'utopia.

L'autonomia (totale) è un'utopia: ecco perchè esiste Maria.

mercoledì 28 ottobre 2009

L'inquietante teoria liberalista

Il liberalismo vede la diseguaglianza sociale come una conseguenza diretta ed inevitabile della diseguaglianza BIOLOGICA esistente tra gli uomini.
Infatti, i liberali ritengono che non tutti gli uomini dispongono dell'intraprendenza economica, della voglia e della capacità di lavorare. Ci sono uomini biologicamente intraprendenti e uomini biologicamente idioti e nullafacenti (DISEGUAGLIANZA BIOLOGICA)

Combattere la diseguaglianza sociale significa affrontare una lotta contro il nulla, o meglio contro la incorruttibile potenza della natura.
Infatti è la natura che attribuisce certe caratteristiche (intraprendenza economica, capacità lavorativa,etc.) a determinati uomini, che permettono agli stessi di raggiungere un posto di riguardo nella gerarchia sociale.
Ogni società è contraddistinta da una gerarchia sociale che non può essere annientata e quindi neanche combattuta.

Quindi, secondo l'idea liberalista, è la natura (cosa o chi sarà poi questa natura!) che determina la composizione della società. E la natura non può essere in nessun modo contraddetta.

Questa concezione è sviluppata dal liberalismo.
Una concezione, dal punto di vista filosofico, pienamente IDEALISTA, ossia totalmente contraria a quella MATERIALISTA propugnata dal socialismo "scientifico".

Non posso che rafforzare il mio radicale antiliberalismo.

lunedì 26 ottobre 2009

Una brutta faccenda

(DA UNA STORIA VERA, RACCONTATA DA MIA NONNA)


Siamo agli albori del '900.
Il periodo della vendemmia.
La campagna abruzzese.


Renata è una giovane ragazza, con capelli rossi, carnagione chiarissima, seno timido. E' figlia di contadini. Suo padre è proprietario di un piccolo podere. La famiglia possiede dei vigneti.

Renata è promessa in sposa ad un giovane ragazzo, figlio di un avvocato e di una contessa. Si chiama Mario.
Mario è vivamente innamorato di Renata.
I genitori del giovane non sono molto felici dell'innamoramento del figlio. Contado-borghesia: un binomio che funziona ben poco.

Mario è costretto a scappare di casa.
Si trasferisce dalla sua amata. Convivono nell'abitazione rurale di Renata ma dormono in stanze diverse. Ancora non sono sposati.

Renata, il padre, la madre e Mario stanno cogliendo l'uva.
Sono tutti felici. Discorrono con tranquillità tra di loro, mentre provvedono alla coltura.

Renata resta sempre vicina al suo innamorato. I due si amano alla follia.
I genitori di Renata si distraggono.
Renata ne approfitta per baciare il suo ragazzo. Compie uno scatto repentino per toccare la bocca maschile. La rapidità e la fretta la condannano. Inciampa su di una pietra. Perde l'equilibrio.
Non cade. Riesce a rimanere in piedi.

Però il gesto inconsulto l'ha punita. Crudelmente. E'stata condannata dalla voglia di baciare il suo amato.
Una scoreggia è fuoriuscita dal suo sedere. Un boato fortissimo che hanno udito tutti i presenti. Soprattutto Mario.

La naturalezza fisiologica del peto umano è stata più spietata di una rovinosa caduta, che avrebbe provocato un semplice, positivo e condiviso riso.

Mario è vivamente scandalizzato dall'accaduto.
Con sdegno abbandona il campo coltivato.

Renata è invasa da una vergogna assurdamente disumana. Il suo volto si colora di un rosso purpureo. Sta per scoppiare. Vorrebbe piangere. La vergogna la blocca.
Non riesce a comprendere la reazione di Mario. Se n'è andato senza dire nulla.

Dopo alcuni minuti di immobilità e di potente imbarazzo, Renata corre verso la casa.
Mario non c'è più. E' andato via.

Renata è pervasa da un terribile sconforto.

Il giorno seguente Mario si fa sentire. Comunica al padre di Renata che ha intenzione di lasciare immediatamente la figlia. "Non posso sposarmi con una scrofa". Mario è categorico.

Renata apprende la notizia. Cade nella disperazione più assoluta.
Oltre alla pessima figura fatta davanti al suo fidanzato è stata lasciata dallo stesso.
Oltre al danno, la beffa.

Passano i giorni. Mario è davvero sparito.
Renata non se ne fa una ragione. Il suo pensiero torna inevitabilmente a quel fatale giorno nel quale il suo sedere ha tuonato. Maledetto sedere. Disgraziata natura umana. Dannato fisico umano.

La ragazza non esce più di casa. E' in pessime condizioni psicologiche.


Tenta il suicidio. Non ci riesce.

Capelli bianchi. Viso scavato. Occhi disastrati. Labbra corrose. Denti ingialliti. Unghia lunghe e sporche. Questo è il ritratto tremendamente sconcio di Renata. Una ragazza distrutta.

I genitori non hanno dubbi e i medici neanche: è pazza.

Viene chiusa in un manicomio.

Il crudele e ripetuto elettroshock non riesce a cancellare quel pessimo rumore che ha razzerato la sua esistenza. Non ci riuscirà mai.

(Può una scoreggia distruggere cosi malamente una vita umana?)

Renata conclude i suoi giorni nel buio manicomio di Teramo.
La vita è stata terribilmente spietata nei suoi confronti.
La morte è per lei un sollievo.

I genitori l'hanno vista lentamente spegnersi. Il progressivo e intenso dolore ha assassinato Renata.
La famiglia piange.
Un misero funerale le è stato concesso. Poche persone. Mario non c'era. Nel frattempo si è sposato. Vive a Roma. Ha dei figli. E' contento. Guadagna bene. (Sia maledetto per l'eternità)

Il corpo di Renata, dilaniato dalle mille sofferenze, è stato prontamente seppellito. Ricoperto per sempre.
Chissà se la fredda terra cimiteriale abbia donato un giusto affrancamento ad una donna distrutta dalla cupidigia umana.

Se Dio è realmente buono, giusto e onnipotente, perchè ha concesso una simile oscenità?

Per fortuna il tempo è passato anche per Mario. E' morto.
Satana si starà eloquentemente occupando della sua fetida anima.

Il problema inevaso delle morti sul lavoro

L'Italia è un paese di criminali.
Nel 2008 le morti sul lavoro sono state 1.120 e nonostante la lieve flessione del 7,2% rispetto all'anno precedente (2007), l'Italia è il paese europeo con il più alto tasso di morti sul lavoro.

Il 2009, ormai giunto al termine, non promette bene. Le statistiche parlano chiaro: fino al 21 luglio le morti bianche sono state 581 mentre fino al 29 settembre sono 782. Le morti sono aumentate di 201 unità nel giro di due mesi circa. Continuando con una tale tendenza, la cifra annuale del 2009 supererà ampiamente quella già disastrosa del 2008.
L'Italia è in procinto di confermare il suo pessimo record di "omicidi bianchi" in seno all'Unione Europea.

Oltre ai morti effettivi ci sono anche quelli relativi. Migliaia sono gli invalidi del lavoro (19.573 fino al 29 settembre 2009), la cui vita è stata crudelmente macchiata dalla opportunistica ignoranza dei padroni.
Infatti la causa principale degli incidenti sul lavoro è data dalla inosservanza delle misure di sicurezza da parte di chi gestisce l'azienda, molto spesso con la complicità omertosa dei sindacati.

Quello dei morti sul lavoro è dunque un problema serio che merita una reale ed immediata soluzione. Le "belle" parole dei politici, cariche di demagogia e retorica, non bastano più, ma occorrono atti e azioni dirette. Provvedimenti che producano un netto ridimensionamento del fenomeno delle "morti bianche".

Personalmente mi permetto di elargire una soluzione: DEMOCRAZIA SOCIALISTA.

Ogni altro vocabolo è superfluo.

domenica 25 ottobre 2009

Appunti

Il "realismo socialista" era in realtà un vivo insulto alla dignità del popolo.
L'idea che il popolo debba usufruire di un'arte naturalistica e priva di qualsiasi elemento "da interpretare" è sbagliata e denigratoria. Infatti, in tal modo, viene rivelata (indirettamente?) una mancanza di intelletto da parte del popolo.
Il realismo socialista comunica al popolo questo: tu sei ignorante, incapace di interpretare cio che è surreale, simbolico. Quindi, per poter capire, hai bisogno di un'arte naturalistica, immediata, senza filtri interpretativi.
Inoltre il realismo socialista inseriva un'ulteriore concezione: le opere d'arte devono avere un CONTENUTO SOCIALISTA.
Forma realista, contenuto socialista.
Oltre al danno, la beffa. E' possibile utilizzare l'arte per indottrinare il popolo?
"Il popolo è ignorante. Diamo ad esso un'arte naturalistica e sfruttiamo la sua ignoranza per imprimergli un'ideale politico, quello socialista: questo comunica il realismo socialista, secondo il mio modestissimo parere.

Il realismo socialista, teorizzato da Gor'kij.
(Urss, 1934)

Purtroppo l'arte è sempre stata indissolubilmente legata a quel gruppo che detiene il potere in un determinato periodo storico (sociale, politico, economico, religioso, commerciale).
Questo avveniva nel medioevo, dove il dominio incontrastato della chiesa dava vita ad un'arte quasi interamente religiosa e nella fattispecie cattolica.
Avveniva nel '700 con Goldoni, che condanna la commedia dell'arte (di matrice fortemente popolare) per rappresentare e raccontare la nascente classe mercantile veneziana (BORGHESIA), che in quel periodo conosceva un fervido sviluppo economico e politico.
Insomma: la prosperità di un gruppo sociale corrisponde all'assoggettazione dell'arte a quel dato gruppo.

Torniamo al realismo socialista. E alla meschinità dell'arte "naturalistica".
Il popolo è dotato di intelletto. Il popolo ha la capacità di emozionarsi attraverso la mediazione dell'intelletto. Il popolo può (e deve) interpretare: questo penso io.

Il simbolismo è una vera disciplina popolare perchè rispetta e valorizza l'intelligenza e la sensibilità popolari.

Il teatro "mejerchol'diano" (di stampo avanguardistico e fortemente simbolico) è il reale teatro popolare, che ama il popolo e ripone una vasta fiducia in esso.

Mejerchol'd: fucilato per essere contrario alle prerogative del realismo socialista..................................................................................................................................................................

sabato 24 ottobre 2009

In questo paese (?). Il nostro paese (?)......

Ore 18:00. Il sole sta tramontando e disegna un'atmosfera misteriosamente triste. La luce assume una tonalità talmente calda da mistificare cromaticamente qualsiasi aspetto umano e ambientale.

Renato entra in casa. La sua casa. E' appena tornato dal lavoro. E' impiegato in un'azienda siderurgica. Operaio. Metalmeccanico. Operaio metalmeccanico.
Il suo viso appare provato e vessato dalle spietatezze del lavoro. Macchie nere riconducibili al grasso dei macchinari dominano irremovibilmente la sua faccia. Renato è irriconoscibile. Il nero del grasso opprime il roseo colorito umano del suo volto.
La sua modesta e angusta abitazione. Un monolocale mestamente squallido.
Renato è in casa.
Non si dirige verso il bagno; si laverà in seguito. Adesso non ne ha la forza. Il grasso resta.
Si getta sul divano. Immobile, per diversi secondi.


Con uno scatto fulmineo afferra il telecomando del televisore, posizionato al di sopra di un timido tavolino in plastica marrone.
Un fantastico televisore al plasma. Quell'avanguardistico elettrodomestico stona visibilmente con l'anacronistico arredamento quasi medievale. Mobili consumati dal tempo, tende strappate, porte scardinate, pavimento disastrato, crocifissone in oro: sembra di stare in una bettola Lumpenproletaria. Però c'è il televisore LCD.
Renato accende la televisione. La videografia televisiva asfalta la spossatezza di Renato. Rinvigorisce. Ride ed è felice. Felicissimo. La contentezza lo assale. Lo assoggetta.

Renato è felice della sua vita fatta di stenti e sofferenze. E' soddisfatto delle sue quindici ore di lavoro. E' contento di essere avidamente sfruttato e meschinamente defraudato della sua dignità e della (sua?) vita.

Renato è già morto. Il televisore lo mantiene in vita.
Non spegnete quell'affare: l'eutanasia non è concessa. In questo paese. Purtroppo.

Il riscatto (e non la RI-VINCITA) degli oppressi

"Lo spettacolo teatrale è concluso. Un compatto e minaccioso sciame di insetti invade la sala teatrale, gettando il pubblico nel terrore più irrazionale. L'invasione è accompagnata dalla "cavalcata delle valchirie" del Wagner".

Il riscatto degli ingiustamente oppressi: gli insetti.
L'insetto è trattato al pari di una pietra sporca di feci puzzolenti. Purtroppo l'insetto è un essere vivente, al contrario dell'insensibile pietra penosamente sporca.
Schiacciare un insetto è come scalfire crudelmente una pietra; un gesto compiuto con una naturalezza quasi disumana.

L'insetto è oggettivamente riprovevole (dal punto di vista fisiologico, si intende) ma non per questo è consentito disprezzarlo avidamente. Il brutto si rispetta. Anche più del bello.

Gli insetti dominano inconstrastatamente il (nostro?) globo ma la timida piccolezza non permette loro di affermarsi sulla prepotenza tipicamente umana.
La loro bruttezza è l'unica difesa contro la gratuita brutalità umana.

Arriverà (è già arrivato) il momento, seppur fugace, nel quale gli insetti otterranno un significativo riscatto. E l'onirismo della sala teatrale ne sarà il contenitore. Esclusivo ma adatto.

giovedì 22 ottobre 2009

La borghesia domina le nostre menti (e vite)

Emma Marcegaglia (Presidente di Confindustria) ha affermato che "la cultura del posto fisso è un ritorno al passato non possibile". Questa netta dichiarazione ha fornito un valido argomento ad una mia tesi, ovvero: la borghesia attribuisce un carattere ancestrale e anacronistico a tutto ciò che può insidiarla. E Confindustria, rappresentando coloro che si rendono CARNEFICI dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, può essere ritenuta a pieno titolo l'emblema della alta borghesia italiana.
Non bisogna stupirsi dunque se il potere borghese vuole che il comunismo e la sicurezza per i lavoratori siano considerati come elementi improponibili perchè appartenenti ad un passato ipoteticamente fallimentare.

sabato 10 ottobre 2009

Invettiva contro il capitalistoide speculatore e farabutto (Evviva Satana!)

Prendere insieme quella stretta minoranza di tutti i capitalistoidi del mondo, chiuderli in un grande stanzone insonorizzato e tagliare con un coltellaccio i loro coglionacci gonfi di sperma
Privare il capitalistoide del terribile liquido peccaminoso unito a sangue e gettarlo sul suo viso dolorante e delirante.
La morte dovrà arrivare con lentezza; estrema lentezza
L'immagine del denutrito e disarmato infante rimarrà impressa nei suoi occhi anche dopo l'estremo atto
Le pene dell'Inferno saranno terribili
Il capitalistoide non soggiornerà in un solo girone/ egli si è macchiato di vari crimini
Pagherà fisicamente tutto ciò che ha guadagnato economicamente
Il buon Cerbero non finirà mai di mordere voracemente la riprovevole testa di cazzo del capitalistoide
Il demonio renderà giustizia a tutti gli oppressi
Il demonio è un COMPAGNO che gode dell'oneroso compito di punire lo squallido edonismo capitalistico
L'ipocrisia del capitalismo verrà annullata bruscamente dal nostro miglior alleato: Belzebù
Noi tutti lo amiamo (il diavolo) Evviva Satana!

"Demoni di tutto il mondo, unitevi!"

venerdì 9 ottobre 2009

In quel lontano 18 maggio 2006....

Paolo Bonaiuti (portavoce del premier e venerabile maestro di relativismo) afferma il 18 maggio 2006, all'indomani delle elezioni politiche, che l'Italia si trova "di fronte ad una minaccia per l'informazione, quasi una prova di regime da parte di chi si dichiara gia vincitore". Naturalmente il dittatore in questione era Romano Prodi, il quale non aveva ancora sconfitto ufficialmente Silvio Berlusconi alle elezioni politiche del 2006. Infatti il verdetto finale che sanciva la vittoria di Prodi arrivò qualche settimana più tardi.
Un regime censorio ed intollerante che non cessa di esistere. Forse anche l'attuale mancanza di libertà d'informazione è stata ereditata dallo scorso governo di centrosinistra.

Il sonno del sapere

Un povero uomo diligente/preso da un sentire vago e opprimente,/scese lungo la strada morente/e si perse tra la folla crudele e delirante./Appresso lo raggiunse un memorabile ignorante/che disse sfacciatamente:/"Perchè vive cotesta gente?"/Provò a rispondere l'uomo diligente:/"Non conosci forse il segreto di questa vita sfuggente?"/L'ignorante voltò le spalle prepotentemente/e con aria del tutto indifferente/lasciò che la folla calpestasse il diligente.

SENZAFIRMA

Non ci resta che piangere (una disarmante ipocrisia)

Ieri sera ad Annozero l'illustre avvocato di Silvio Berlusconi (e deputato) ha avuto l'accortezza e il fegato di rappezzare le buche create da Berlusconi in seguito alle calde affermazioni post-bocciatura lodo alfano ad opera della corte costituzionale. E' proprio vero: i servi sono pronti a metterci la faccia pur di favorire il buon samaritano del loro padrone.
Nicolò Ghedini ha smentito le dichiarazioni di Berlusconi secondo le quali quello della corte costituzionale è un verdetto politico. Ma come si può negare cosi spudoratamente l'evidenza?
Perfino il veracissimo Maurizio Gasparri (capogruppo del pdl al senato) ha affermato che "la corte costituzionale non è più un organo di garanzia perchè smentendo la sua giurisprudenza ha emesso una decisione politica..", infine ha ritenuto che la corte è una "sezione di partito della sinistra". Dichiarazioni alquanto eloquenti che sono arrivate l'8 ottobre, quindi il giorno seguente alla decisione della consulta che si espressa con la bocciatura del Lodo Alfano. Il medesimo concetto è stato espresso dallo stesso presidente del consiglio Silvio Berlusconi e dai suoi innumerevoli servacci piddiellini.
Adesso: può un eletto dal popolo (sia esso il presidente del consiglio o un "semplice" parlamentare") mettere in discussione l'organo giuridico più importante della nostra repubblica? Ci si può spacciare per portatori di democrazia quando si dovrebbe rispettare (sempre!) il giudizio di un fondamentale organo come la corte costituzionale?
L'elemento che mi stupisce è anche un altro: perchè non si è mai parlato di una corte "sinistrorsa" prima del verdetto? Infatti non sono rintracciabili affermazioni che testimoniano eventuali presagi da parte di uomini politici vicini al diretto interessato Silvio Berlusconi. La corte costituzionale è magicamente diventata bolscevica solo ed esclusivamente dopo la sentenza sfavorevole. Coincidenza? Può darsi. Purtroppo ci si dimentica che i giudici hanno giudicato GLI ATTI e non i soggetti governanti, cosi come ha giustamente detto un esponente del CSM.
La tendenza è questa: quando una sentenza è favorevole al buon "presidente eletto dagli italiani" si parla di SENTENZA GIURIDICA (quindi leale, equa) mentre quando si tratta di una sentenza avversa al Berlusconi si tratta di SENTENZA POLITICA.

L'onestà intellettuale è stata completamente calpestata da questa classe dirigente.
"Non ci resta che piangere".

giovedì 8 ottobre 2009

L'ignoranza trionfa

L'ignoranza è più forte della diligenza e della conoscenza.
Il diligente che discute con un memorabile ignorante non ha speranza di far valere le proprie opinioni.
L'ignoranza è arroganza.
L'ignorante, non avendo argomenti da esporre, non può vedersi contestato nulla. Il diligente che possiede una vasta riserva argomentativa e conoscitiva, la vede annullata dinanzi alla spiazzante e disarmante assenza di opinioni argomentate ed argomentabili.

Partito delle (pseudo)Libertà docet.

mercoledì 7 ottobre 2009

BRAINSTORMING RIGUARDANTE "IL" DESIDERIO...

"Lasciate ogni speranza voi ch'entrate": questo verso meriterebbe un posto al di sopra della tetra cancellata cimiteriale.
Chi entra nel "luogo ultimo", sia da vivo che da morto, non gode della possibilità di uscirne indenne.
L'esistenza del vivo finisce inevitabilmente per essere macchiata da uno strano (ma razionale) sentimento di disperazione e delirio. L'immagine dei corpi inermi, rarefatti ed imputriditi resta ancorata dinanzi ad i suoi occhi. Tale immagine viene enfatizzata dal "pensiero inevitabile": il macabro contenitore ligneo finirà per catturare anche me.
La morte: una questione ineludibile.

Entrare in un cimitero è come leggere l'"Inferno" dantesco: un intruglio di emozioni e delirio interiore.
L'Inferno frantuma la nostra compostezza emotiva, ci turba a tal punto che difficilmente riusciremo a rimuoverlo dalla nostra mente. L'Inferno ci pone dinanzi ad un sacra ed umana questione: la morte.

"Per me si va nella città dolente
Per me si va nell'eterno dolore
Per me si va tra la perduta gente": questi versi sembrano destinati ad una mimetica descrizione dell'ambito cimiteriale.
Il cimitero è un inferno silenzioso e timido ma nel medesimo tempo rumoroso ed arrogante. Nessun altro ambiente quanto il cimitero è in grado di creare una violenta burrasca psicologica ed esistenziale in seno all'individuo. Il cimitero è come un professore severo ed esigente: ti pone continuamente delle domande alle quali difficilmente riuscirai a rispondere.
Il cimitero ha evoluto l'uomo e nel contempo lo ha condannato. Esso ci ha permesso di domandarci la causa ed il fine dell'esistenza umana.

Da qualche settimana mi sono IMPOSTO un desiderio: la lettura di alcuni canti dell'inferno dantesco con la eloquente ed esatta scenografia cimiteriale.

Immagino le conseguenze di una tale iniziativa. Un turbine di emozioni che rasentano una spudorata ed evidente commozione: questo causerebbe la lettura dell'"Inferno" all'interno di un cimitero.

Naturalmente l'intera opera verrà ripresa "ad hoc" con un dispositivo videografico. La tonalità cromatica delle immagini dovrà comunicare una certa freddezza (tonalità fredda). Una scelta cromatica che stona evidentemente con l'ambiente descritto (l'Inferno): un'ulteriore elemento conflittuale che non può che far bene all'intera rappresentazione.

Mi sono chiesto ripetutamente: chi si eseguirà la lettura?

Ammetto che mi piacerebbe molto veder reiterata la lettura della "divina" ad opera di Carmelo Bene, che gia la realizzò nel 1980 (in occasione della cerimonia per la strage di Bologna). Purtroppo "L'" attore "inesistente" non è piu tra noi.
A questo punto gradirei che ad interpretare l'Inferno sia un giovane attore, piu o meno promettente, capace di guadagnarsi un nome ed una reputazione in seguito a questa esperienza.

Questa lettura non sarà un'opera teatrale. Non avremo la compresenza fisica tra attore e pubblico. Dunque non sussisterà quel carattere essenziale che definisce il teatro.
Ci si "limiterà" a riprendere il tutto con una videocamera o cinepresa, a seconda delle disponibilità produttive.
Un'opera cinematografica a tutti gli effetti.

Un'ultima considerazione di carattere personale: vi prego, non seppellitemi, non datemi la possibilità di "riposare in pace", non permettete che le genti vengano a rimirare la mia lapide e sappiano della mia morte. Se è necessario, violate la legge; sarà una violazione giustificata.

Il mio corpo che si decompone: impedite che questo accada!

Il corpo del morto è inferiore a quello animato del vivo.

lunedì 5 ottobre 2009

Dramma pornografico frutto di una scrittura rapida, impulsiva ed irrazionale

Scena UNICA

Un fondale nero e macchiato di sangue. Un tavolino con sopra una testa mozzata nella parte sinistra del palcoscenico. Una testa di donna. Nella parte destra troviamo una ghigliottina. E' sporca di sangue. E' stata appena effettuata una esecuzione.

TERRIFICANTI GRIDA DI DONNA

Una donna nuda e spaventata entra in scena. Ha un fallo in plastica piantato nel sedere. Qualcuno la sta rincorrendo.

Un piccolo gruppo di uomini effettua l'accesso in scena. Sono esaltati e desiderano ardentemente acciuffare la donna. Il pene eretto di ognuno fuoriesce dai loro pantaloni. Vogliono il corpo della donna.

La donna individua il boia. Si ripara dietro la sua imponente figura.

La foga degli uomini si placa. Hanno paura del boia.

Il boia resta fermo proteggendo cosi la povera donna. Osserva gli uomini con aria di sfida. Ingrossa il petto e si mostra potente dinanzi agli occhi del mal intenzionato gruppo.

La preoccupazione espressa poc'anzi dagli uomini va gradualmente scemando fino a scomparire. Scoppiano a ridere

GRASSE RISATE MASCHILI

Il boia è spazientito. L'atteggiamento irrisorio degli uomini lo fa scattare. Correndo si getta su di loro.

Contro ogni pronostico, il compatto gruppo malmena duramente il grosso rivale. Picchiano e ridono.

URLA DI DOLORE DEL BOIA UNITE ALLE POTENTI RISATE DEI PICCHIATORI

Il pestaggio si conclude.

Il boia resta dolorante a terra. Non riesce a muoversi

INFANTILI LAMENTI DI DOLORE DEL BOIA

IL GRUPPO NON SMETTE DI RIDERE

La donna è rimasta ferma al suo posto. E' spaventatissima. E' sconvolta per quello che è accaduto e probabilmente per quello che sta per accadere.

Gli uomini si avvicinano lentamente alla donna. Una lentezza disumana. Il ritmo dell'azione è assurdamente blando.

ANCHE LA VELOCITA' SONORA DELLE RISATE E' DIMINUITA

Gli uomini stanno arrivando a destinazione...

Si spengono improvvisamente le luci. L'intera sala viene invasa da un buio illeggibile.

L'ambiente resta oscuro.....

Potente schiocco di una frusta.

L'illuminazione viene riattivata.

Gli uomini sono completamente nudi. Il loro pene è ancora eretto. Le gambe e le braccia allargate. Sono immobili. Il boia non c'è più.

La donna, adesso vestita, li colpisce violentemente con la frusta. Il macabro oggetto di dolore lascia delle profonde vessazioni sulle pelli maschili. Vengono colpiti anche i loro organi genitali.

URLA DI DOLORE DEGLI UOMINI E RISATA DELLA DONNA. UNA RISATA RAUCA CHE ESPRIME UNA SADICA ECCITAZIONE.

La donna continua imperterrita a colpire le sue vittime.

Le frustate si placano. Gli uomini scappano via. Abbandonano le tavole del palcoscenico ed escono di scena passando attraverso la platea. Se ne vanno con la proverbiale coda tra le gambe.

FINE

[CI SI AFFIDA ALLE STRAORDINARIE DOTI MIMICHE DEGLI ATTORI. ESSI DOVRANNO COMUNICARE DETERMINATE INTENZIONI E DETERMINATI STATI D'ANIMO MEDIANTE IL SOLO GESTO. L'INTERA SCENA E' FONDATA SULL'IMPORTANZA CENTRALE DELL'AZIONE. IL TEATRO NON E' MERA PAROLA. IL TEATRO PUO' E DEVE ESSERE ANCHE AZIONE. OPPURE SOLO AZIONE.

L'AZIONE, PIU' DELLA PAROLA, STIMOLA L'INTELLIGENZA INTERPRETATIVA DELLO SPETTATORE. L'AZIONE RESTITUISCE LEGITTIMITÀ' E CENTRALITÀ' AL RUOLO DELLO SPETTATORE. L'AZIONE PERMETTE ALLO SPETTATORE DI COMPLETARE L'OPERA STESSA, DANDO AD ESSA UN SIGNIFICATO. UNA DEFINIZIONE MOLTEPLICE: OGNI ESSERE UMANO E' UNICO, QUINDI DIVERSO.]

venerdì 2 ottobre 2009

L'Arte salva la vita

Virgilio, il poeta, guida Dante verso la salvezza. Dante fuoriesce dalla selva oscura grazie a Virgilio.

L'arte irradia l'oscurità della drammatica selva.

L'arte e solo l'arte è in grado di curare taumaturgicamente i mali che affliggono l'uomo.
Il cronico ed ineludibile dolore dell'uomo può essere eluso mediante l'arte.

Il lavoro dipendente è solo un'accentuazione della disperazione umana.
L'arte VERA deve essere indipendente.
La dipendenza crea infuenza e l'influenza mistifica il ruolo legittimo dell'arte.

La committenza è l'oblio dell'arte.

martedì 29 settembre 2009

Nel (nostro) paese dei balocchi

"Come si può essere timidi nel nuovo mondo delle discoteche, delle grandi case stilistiche, della tecnologia e della televisione? Il timido è un insulto all'uomo nuovo, l'uomo del terzo millennio. Il timido è una figura arcaica, passatista, per nulla salutare a questa società. Perchè non eliminare fisicamente il timido? Sarebbe una buona idea ma abbiamo delle regole da rispettare. Delle regole morali che ci vietano giustamente di violentare l'essere umano, di togliergli la vita. Il nostro è l'universo del buon Dio. Il sesto comandamento parla chiaro: non uccidere. E noi lo rispettiamo. Dirò di più: nessuno si permetterà mai di opprimere l'uomo.
Noi rifiutiamo vivamente qualsiasi forma di violenza dell'uomo sull'uomo. Costruire un mondo delle libertà: questo è il nostro obiettivo. E combatteremo fino alla morte per raggiungerlo!"

APPLAUSI




Il giorno seguente vennero istituiti dei campi di rieducazione per timidi.
Il governo del paese dei balocchi aveva in mente un mondo privo di timidezza, dove tutti siano felici di ballare, cantare, scherzare e fregarsene. Di tutto e di tutti.
La timidezza rappresentava un ostacolo all'edificazione della nuova società del consumo e della perenne risata.
Il timido è spesso un soggetto capace di riflettere, che trova il tempo e la necessità di muoversi intellettualmente.
Il governo del paese dei balocchi non aveva bisogno di intellettuali. Coloro che vogliono e sanno ragionare possono riconoscere efficacemente le assurdità e magari tentare di combatterle. Questo governo avvertiva l'esigenza di controllare una massa di idioti che pensavano a tutto fuorchè al pensare.

Il timido è un tipo silenzioso. Nel suo silenzio pensa, capisce. Il timido è da correggere.
Il campo di rieducazione per timidi godeva di una struttura alquanto inusuale. Infatti esso non aveva nulla a che vedere con i cupi lager nazisti e tantomeno con i gulag sovietici.
Sembrava di stare in un albergo super-lussuoso. Un cinque stelle.
I reclusi erano trattati in maniera idilliaca. Ogni loro desiderio veniva esaudito. Non esistevano monete all'interno del campo. Tutti erano in grado di usufruire gratuitamente di qualsiasi bene. Il campo godeva di qualsiasi oggetto all'avanguardia. Non vi era nulla che non facesse tendenza.
Era presente ogni sorta di punto vendita. Tutto era disponibile.
I direttori del campo imponevano due soli obblighi: frequentare quotidianamente la discoteca del campo e guardare la televisione per almeno 15 ore al giorno.
Il campo era fornito di una discoteca "avanguardistica"dove si esibivano i migliori dj e venivano regolarmente invitati degli importanti personaggi dello spettacolo.
Questo trattamento capitalistico e consumistico finiva per mutare radicalmente la fragile mente del timido. Dal campo di rieducazione uscivano persone spavalde, allegre, aperte e menefreghiste. Il verbo "pensare" era pressochè cancellato dal loro dizionario comportamentale.
I rieducati avevano perduto qualsiasi pretesa culturale. Erano intellettualmente defunti.

Evviva il paese di balocchi!!

sabato 26 settembre 2009

La dolce ed ingenua ignoranza dell'infante...

Siamo all'interno di una pizzeria.
Un bambino sta festeggiando il suo compleanno. Gli invitati sono moltissimi, per la maggior parte coetanei del festeggiato.
Corse, salti, cadute, botte: bastano pochi minuti ed i corpi dei bambini vengono travolti da ondate di sudore.
Le madri andranno in paranoia.

Arriva il tempo della pizza.

I bambini corrono velocemente in bagno per lavarsi le mani.
Uno di loro dice:" Dobbiamo lavarci bene le mani per proteggerci dall'influenza suina!"
Tutti concordano con il bambino ed assecondano la sua vitale raccomandazione.
Alcuni di loro chiedono però dei chiarimenti sul procedimento da seguire per proteggersi efficacemente.
"E in che modo dobbiamo lavarle?".
Un bambino interviene tempestivamente: "Bisogna tenere le mani sotto l'acqua per venti ore!!!".
VENTI ORE??? La sua formulazione appare assurda ma tutti concordano.
Si tirano su le maniche ed aprono il rubinetto. Ne fuoriesce un getto martellante.
Inseriscono le mani sotto all'acqua.
L'acqua dovrà bagnare le loro mani per venti ore consecutive, senza interruzione alcuna.
Freneticamente iniziano a contare ma inaspettatamente si fermano a venti secondi.
Ma certo! C'è stato un equivoco! Loro non intendevano venti ORE bensi' venti SECONDI!
Una volta concluso il prezioso conteggio, fuggono via senza chiudere il rubinetto.
L'acqua continua a scorrere violentemente sul fondo del lavabo in pura ceramica.

I bambini consumano la tanto attesa pizza. Beati i loro palati....

La commercializzazione della poesia. L'italiano uccide la poesia. L'italiano mitizza il defunto. (L'italiano è un penoso esseraccio)

Il passero solitario viene catturato da un pastore errante dell'asia.
Il pastore errante dell'asia vende il passero solitario ad un islandese.
Un islandese si ciba del passero solitario.
La morte si nutre di un islandese. L' islandese è libero. E' stato purificato da ogni male.

Evviva l'islandese!

Riflessione sul tempo e petulante confronto con la morte

Il tempo è un assassino.
Tutto perde di significato con lo scorrere del tempo.
Le emozioni scemano a dismisura. La vita si trasforma in esistenza. L'esistenza diventa pesante e macchinosa.
La morte rappresenta una soluzione realistica ed imminente.

Il tempo appiattisce l'essere umano, lo priva della vitale capacità di emozionarsi.
Perchè la debolezza dell'emozione viene ineludibilmente travolta dalla crudeltà del tempo?
Il tempo è crudele. Il tempo è un despota totalmente malvagio.
Il tempo non da illusioni. Il tempo è schietto, diretto. Perfidamente sincero.

Nulla può sconfiggerlo. Nessuno può batterlo. Neanche la morte.
Dopo di essa, il tempo continua ad esercitare il suo opprimente potere sul nostro fisico. Il corpo si decompone. Crescono i capelli. Si cibano i vermi.

Non posso tollerare la mia impotenza di fronte al tempo.
E' possibile sopportare la precoce consapevolezza della inevitabile crudeltà del tempo?

Ho perso. Avete perso. Ha perso. Hanno perso. Abbiamo perso.

Lo sconfitto impugnò una rivoltella. "BOOM!".

Con voce fioca e sofferente disse: "Vaffanculo..."

E mori'.

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La morte è uno strano signore.
La intravedo in lontananza.
Si avvicina.
E' nuda. Con il pisello al vento.
La morte è ridicola.
Con timidezza viene avanti. Mi raggiunge.
Osservo il suo quasi inesistente pisellino. Credevo che la morte fosse dotata. E invece no: un pisellino magro ed ininfluente. Ma che buffa la morte!
Non ho nessun ritegno: rido di fronte alla morte. Senza inibizione alcuna.
La morte è intimidita.
Rido, rido, rido, rido e rido.
La morte non si arrabbia. E' muta ed imbarazzata.
La morte viene mortificata da me. Io sto mortificando la morte.

La morte dice basta. Allunga la sua mano e mi tocca.
Io cado a terra inerme.
Adesso è la morte che ride.
Vengo svestito dalla morte.
La morte ride della mia nudità.
Ride bene chi ride ultimo?...no

Improvvisamente ed inaspettatamente mi rialzo.
La morte smette di ridere. Appare visibilmente esterefatta.
La morte osserva il mio organo genitale.
E' più grande del suo.
La morte si mette a piangere.
Il suo pene è più piccino del mio.
Ho sconfitto la morte!
La morte piange. Ed io rido. Rido di gusto. In eterno.

giovedì 24 settembre 2009

Delirio di un sano di mente (dedicato al nulla, cioè a tutti)

"Gli animali possono vivere ma gli uomini non possono morire! Gli uomini devono morire! Chi non muore non è un uomo ma chi vive non è un animale.

Per colpa della morte esiste Dio. Se davvero l'uomo era capace di sfuggire all'estremo momento, esso non avrebbe avvertito la squallida necessità di crearsi l'immensa illusione della vita ultraterrena.
Dio non esiste e se esiste non esiste, perchè Dio esiste ma non esiste in quanto esiste nella mente dell'uomo che non esiste. Dio esiste nell'uomo ma non esiste nella realtà. La morte esiste quindi Dio non esiste perchè se la vita infinita non esiste, Dio esiste.
Quindi: mannaggia a Dio! (urlando a squarciagola, come se si fosse liberato di un peso TROPPO opprimente)"

SENZAFIRMA

martedì 22 settembre 2009

Dio è morto

Sedevo dinanzi al caldo camino. Il possente fuoco inceneriva lentamente ed inevitabilmente la povera legna.

Stavo consumando un ottimo panino preparato con amore da mia nonna.
Tutto procedeva per il meglio.
Improvvisamente una mollica troppo pesante si stacca dal corpo principale. Cade a terra.
Penso: non posso lasciarla a terra. Devo farla sparire.
Come posso comportarmi?

In seguito a questo "dubbio amletico", trovo la migliore soluzione. Una soluzione istintiva. Profondamente irrazionale ma razionale al tempo stesso.
Una soluzione anticonvenzionale, oltraggiosa, eretica, quasi demoniaca.

Il fuoco è la soluzione.

Getto il mollicone tra le fiamme. Bastano pochi secondi per ridurlo in cenere.
Il brandello di pane è scomparso.

Ho bruciato il corpo di Cristo. Ho ucciso il figlio di Dio!

In quell'occasione della mia vita, DIO E' MORTO.

domenica 20 settembre 2009

La morte della morte

"Quando la morte vi chiamerà, forse qualcuno protesterà"....

La morte lo aveva chiamato.
Una strana figura nera e fosca lo aveva raggiunto durante
la notte. Mentre dormiva.

Lo stipite della sua camera era stato varcato da questa
inquietante presenza.
La morte si era fermata dinanzi al corpo incosciente di
Renato.

Renato dormiva. Non poteva protestare.
Forse sognava di morire. Di essere toccato dalla mano
ossea e brutale della morte. Di abbandonare questo mondo
terreno per essere condotto in un mondo ulteriore.
Divino.

Probabilmente aveva contemplato l'idea della morte nel
corso della sua vita precedente.


La sua vita si concludeva nel momento della sola
esistenza. Si, l'essere umano che dorme non vive bensi'
esiste.

Renato aveva compiuto un ulteriore salto. La sua
esistenza era divenuta inesitenza.

La morte aveva poggiato la sua terribile mano sui biondi
e lisci capelli di Renato.
Il candido caschetto di capelli biondi era stato invaso dalla terribile mano
mortale.

La morte aveva svolto il suo quotidiano compito.

Dopo questo ennesimo mandato, la morte si sedette a
fianco del cadavere di Renato e decise di riflettere.

Cominciava ad odiare il suo mestiere. Un mestiere
monotono e poco stimolante.

"Che differenza c'è tra il mio compito e quello di un
operaio incastrato nel macabro sistema della catena di
montaggio?
Il mio è un lavoro perfidamente immutevole".
La morte aveva espresso il suo malcontento.

Desiderava qualcosa in più. Essa avvertiva la vitale
esigenza di cambiare vita.

Purtroppo non poteva farlo.

Il suo datore di lavoro non avrebbe accettato le
dimissioni.
Dio era un padrone severo, aspro e poco affidabile.

Dio aveva fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza.
Dio non era onnipotente e neanche buono. Dio era come
l'uomo. Nessuna differenza.

La morte non avrebbe potuto fare affidamento sulla bontà
divina. Bontà che non esisteva.

Un datore di lavoro dispotico ed intransigente: questo era Dio.
E la morte provava un certo e comprensibile
timore dinanzi alla potenza del Signore. Potenza, non
onnipotenza.

La morte abbandonò l'abitazione di Renato.

I genitori avrebbero ritrovato il corpo del loro giovane
figlio. Fiumi di lacrime sarebbero stati versati e
bestemmie rabbiose avrebbero reso tutto meno sacro,
idilliaco. Una reazione umana. Quindi divina.

La morte tendeva a non pensare alle possibili reazioni
delle sue vittime.
Questo pensiero lo avrebbe turbato non
poco.

Essa si limitava ad eseguire le direttive del Boss. Del Signore. Di Dio.

La morte vagava per la fredda città di Berlino.
Il clima teso della città tedesca esprimeva efficacemente
il buio stato d'animo della morte.

In quel dato momento, la morte desiderò la morte.

Come poteva liberarsi di quell'infausto e tedioso
mestiere?
Con la morte. La sparizione fisica.

Pervasa da una gioiosa malinconia, la morte alzò in aria
la sua fredda e tenebrosa mano.

Lentamente scendeva per raggiungere la sua testa,
liberarsi dal cappuccio nero ed eseguire cio che aveva
sempre fatto. Questa volta, però, era lei stessa la
vittima.

Com'era fatta la morte? Qual'era il suo viso?
Si trattava di un viso umano e rassicurante o di un

qualcosa di mostruosamente raccapricciante?

Che sembianze poteva avere la morte?

La mano liberò la testa dall'opprimente cappuccio.

Il viso della morte era stato rivelato.

Il suo era un viso interamente umano. Con dei candidi capelli biondi.
Un caschetto di capelli biondi. Per la precisione.

La morte dell'uomo

LA MORTE DELL'UOMO

La mosca che svolazza nella vuota stanza. La stanza che viene MACCHIATA dal rumore provocato dalla mosca. La mosca che vola e sbatte le ali. Le ali della mosca: piccole ma pesanti.
L'uomo si accorge della pesantezza delle ali della mosca. La mosca che importuna l'uomo con il suo greve e fastidioso ronzio. L'uomo che perde la pazienza. L'uomo che viene assalito da un sentimento odioso nei riguardi della mosca. L'uomo che viene colto da un'improvvisa voglia di uccidere la mosca. L'uomo che NON PUO' trattenere la sua rabbia istintiva. L'uomo che ardimentosamente si impossessa di una paletta. La paletta che schiaccia la mosca. La mosca che viene schiacciata dalla paletta.

La mosca che giace inerme sul tavolino. L'uomo che pulisce il fatale legno dai residui organici della mosca. L'uomo che getta i resti della mosca nel cestino.

L'uomo che si dispera per aver ucciso la mosca. L'uomo che viene divorato dal senso di colpa per aver ucciso la mosca. L'uomo che tenta di strapparsi i capelli per aver ucciso la mosca.
L'uomo avverte la pesantezza della sua esistenza mutilata dalla morte della mosca. Il petto dell'uomo che diviene il crudele contenitore di un mattone troppo pesante.
L'uomo che respira a fatica per aver ucciso la mosca. L'uomo si sente poco bene per aver ucciso la mosca. L'uomo vuole farsi del male per aver ucciso la mosca.

L'uomo desidera la MORTE per aver UCCISO la mosca.

L'uomo istituisce un tribunale. L'uomo si autocondanna per aver ucciso la mosca. L'uomo è destinato alla morte per aver ucciso la mosca.

L'uomo SI UCCIDE per aver UCCISO la mosca.

L'uomo che ha ucciso la mosca è l'uomo più sensibile del mondo. Dell'universo.

ONORIAMO QUEST'UOMO. VI PREGO, NON VENERIAMO QUEST'UOMO (*)




(*)ovvero: onoriamolo in silenzio, senza promozione alcuna.
Apprezziamolo ma non mitizziamolo: non commettiamo un tale errore. Un errore fatale.

Chi nasce, muore

-Quando sei nato?
-Oggi
-Dove sei nato?
-Qui
-Come sei nato?
-Cosi'
-Perchè sei nato?
-Perchè si

-Chi è nato?
-Io
-Chi è morto?
-Io
-Quando sei morto?
-Oggi
-Dove sei morto?
-Qui
-Come sei morto?
-Cosi'
-Perchè sei morto?
-Perchè si!

(Un greve momento di pausa riflessiva)

-Ma sei nato o sei morto?!

-Se sono nato, sono anche morto.

venerdì 18 settembre 2009

La volontà dell'uomo

Il mondo sociale attuale deriva dalle azioni dell'uomo quindi dall'uomo stesso. Dunque: se l'uomo può creare gode anche della capacità di distruggere. E questo lo vediamo tutti i giorni.
Per creare una casa nuova c'è bisogno di distruggere quella vecchia. Per fondare un nuovo ordine sociale l'uomo può e deve annientare quello vecchio. E' dunque l'essere umano che mediante la sua volontà decide come esso deve vivere. Specialmente nel terzo millennio dove godiamo di una tale intelligenza scientifico-tecnologica che spesso vanifica anche le dure leggi della natura.
Non vi è più scampo: l'uomo ha le capacità e le possibilità morali e materiali per sovvertire l'attuale ordine sociale. Ed allora perchè non si procede verso questa strada? Perchè vi è ancora la dissomiglianza tra ricchi e poveri? Semplice: è la volontà degli uomini. Purtroppo non di tutti gli uomini ma di una misera parte di essi.
LE NOSTRE EMOZIONI, LE NOSTRE CONVINZIONI, LE NOSTRE AMBIZIONI SONO IL MESCHINO PRODOTTO DEL VOLERE DI UNA MINORANZA UMANA.
LA NOSTRA STESSA ESISTENZA E' NELLE MANI DI POCHI.

Ahimè!

Manifesto del teatro rivoluzionario teso ad abbattere la borghese e perbenista convenzionalità morale del teatro italiano. Futurismo e Carmelo Bene...

Una voce "fuori campo" recita questo piccolo monologo.
L'edificio teatrale è invaso da un buio fittissimo.

"V’è qualche secolo che, per tacere del resto, nelle arti e nelle discipline presume di rifar tutto, perché nulla sa fare": cosi' si esprimeva Giacomo Leopardi.
E' vero. Noi "avanguardisti" siamo degli incapaci. Ma ammettere la propria incapacità significa essere persone coscienti, con la proverbiale testa sulle spalle.
E poi: è molto meglio essere incapaci ed innovare che essere capaci è reiterare ciò che gia è stato compiuto, cadendo nell'ignominia delle cose comuni.
E' la nostra incapacità che ci permette di tastare terreni nuovi e, se tutto andrà per il meglio, essere considerati dei geni.
Infine: Possiamo infrangere un vaso che non abbiamo? Sarebbe impossibile....

Si accendono le luci.

Un attore è sito in mezzo al palcoscenico.
Egli è completamente nudo mentre il suo pene è in piena erezione a causa della estrema necessità di orinare.

"Bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla bla"

L'attore abbandona le tavole del palcoscenico per scendere in mezzo alla platea.

Una anziana donna in pelliccia è seduta nelle prime file. L'attore la raggiunge e violentemente la picchia.
I colpi inferti dall'attore ai danni della povera donna non sono affato scenici, falsi, bensi' si tratta di vere e proprie "sassate". Nessuna finzione.

La preziosa pelliccia della donna viene ridotta in brandelli.

L'attore esprime una rabbia intensa, accumulata durante la barbara aggressione.

(Rivolgendosi al pubblico)

"Pubblico feccioso! Pubblico lercioso! Pubblico merdoso!
I vostri visini cretini mi fanno arrabbiare a tal punto che vorrei strapparvi quegli stupidi e falsi occhiettini per mangiarmeli come fossero caramelle.
E la vostra bocca: la spalancherei con forza per riempirla di merda! La mia Merda!!
Ommioddio!!! Le mie dolci feci che scendono sulle vostre tumide ed ipocrite labbra. Quel loro colore roseo che lentamente muta in un marrone puzzolente, nauseante! Oh che immagine sublime!

Io voglio uccidervi! Voglio eliminare fisicamente questo pubblico! Pubblico feccioso! Pubblico merdoso! Pubblico lercioso!!Pubblico idiota!
Devo strappare la vostra lingua squamosa per inumidire la sudicia peluria dei miei testicoli! Userò la vostra sporca lingua per lavare i miei coglioni! (Ride sadicamente)"

L'attore orina addosso al pubblico. Cosi' libera la sua sovraccarica vescica.

Questa volta non si tratta di un espediente spettacolare.
L'orina dell'attore colpisce perfettamente gli indumenti del pubblico REALE.

Si avvicina ad una donna (o ragazza) e le struscia il pene ancora bagnato sulla faccia.

(Senza reinserire nei pantaloni l'esclusivo organo maschile!)
"Pubblico borghese! Pubblico di teste da cazzo! Pubblico di stronzi! Pubblico di deficenti! Pubblico di cretini!"

L'attore si impossessa di una pistola (scarica, all'insaputa del pubblico) e la punta alla fronte di uno spettatore ben vestito. Minaccia di ucciderlo.

Dopo alcuni secondi di violente minacce, l'attore pigia il grilletto dell'arma.

Grazie al lavoro di un tecnico, nell'edificio si ode un potentissimo botto che fa sussultare di spavento tutta la platea. Naturalmente il botto non corrisponde a quello della pistola bensi' è diffuso artificialmente mediante l'apparato sonoro dell'edificio teatrale.
Il rumore è assurdamentente potente.

(L'attore torna sul palcoscenico e si rivolge al pubblico)
"Io ho il potere di eliminarvi. Il pubblico è ignorante, il pubblico apprezza ciò che gli offrono.
Il pubblico sopravvive grazie all'attore, non viceversa.
Ricordate: se io voglio posso eliminarvi, posso correggere la vostra indole borghese, la vostra concezione elitaria del teatro.
Il teatro è azione. Il teatro è distruzione. Il teatro è il volere dell'attore.
Arriverà il giorno in cui il teatro verrà liberato dal torpore che aleggia sulle vostre menti borghesi.
Ci sarà un giorno in cui le pellicce non entreranno piu nei teatri ma le poltrone si riempiranno di panni sporchi e pelli grasse.
Il popolo che voi disprezzate avrà la sua rivincita.
A presto. Pubblico dimmerda"

L'attore abbandona il palcoscenico bestemmiando avidamente.

giovedì 17 settembre 2009

Per la totale ed efficace realizzazione della rivoluzione socialista dobbiamo conoscere egregiamente entrambe le concezioni del mondo: quella borghese (di carattere idealistico) e quella proletaria (materialismo dialettico e storico).
La società borghese nella quale viviamo ci aiuta in tal senso.
Infatti tutti noi nasciamo con una pura mentalità borghese che deve essere modificata mediante lo studio del pensiero marxista-leninista, ovvero della concezione proletaria del mondo.
Il nostro compito è dunque quello di apprendere e praticare la sola concezione proletaria dato che quella borghese fa gia parte del nostro bagaglio culturale e pratico.
Inoltre la conoscenza adatta della concezione borghese del mondo è utile per riconoscere efficacemente i nostri nemici, i nemici del popolo, ovvero coloro che si oppongono direttamente o indirettamente al processo di edificazione socialista.
In sostanza: il bagaglio culturale e pratico borghese che assumiamo fin dalla nascita deve essere eliminato dalla pratica ma non dalla teoria. Conoscere la concezione borghese del mondo quanto quella proletaria è una caratteristica essenziale per il giusto trionfo della rivoluzione socialista.

Rivoluzione!Rivoluzione!Rivoluzione!Rivoluzione!

mercoledì 9 settembre 2009

Il socialismo è la retta via verso la pacificazione dei popoli

L'esportazione della democrazia. L'esportazione della democrazia occidentale. La democrazia borghese.
La borghesia manifesta ripetutamente la sua arroganza e la sua immane ipocrisia.
In Iraq, cosi come in Afghanistan, i filantropici Stati Uniti D'America hanno esportato la democrazia e la libertà. Nessuna menzogna è piu totale e ridicola di questa.

La guerra è la più lampante manifestazione della barbaria imperialista. Infatti gli stati imperialisti si nascondono dietro la cortina fiabesca della democrazia da esportare per perseguire invece i propri interessi economici. La guerra fa economia. I fabbricanti di armi sguazzano all'interno del terrore e della violenza derivanti dalla guerra. L'invasione dell'Iraq ad opera degli imperialisti americani ha portato le compagnie petrolifere statunitensi ad impadronirsi dei numerosi e fruttuosi giacimenti di petrolio iracheni.
E come se non bastasse, gran parte dei paesi europei ha assecondato i macabri giochi dei cugini americani. Questo dimostra che le nazioni che compongono l'unione europea e che hanno partecipato all'invasione dell'Iraq, tra cui l'Italia, sono imperialisti e borghesi quanto gli Stati Uniti.
Apparte questo, anche il pretendere di esportare militarmente il proprio modello sociale e politico significa essere estremamente arroganti, assolutistici e malvagi. Inoltre la democrazia borghese non è affatto sinonimo di libertà e civiltà. Bensi' la democrazia borghese non è altro che la libertà per una sola classe, la borghesia. La democrazia borghese è la forma di dominio della borghesia sul proletariato: le politiche attuate dalla maggior parte delle nazioni occidentali confermano tale tesi.

Veniamo al punto.
Con l'abbattimento del sistema capitalistico e l'instaurazione della dittatura del proletariato possiamo far si che guerre come quella irachena vengano evitate. Guerre imperialistiche e capitalistiche: la maggior parte delle guerre.
Lo stesso Lenin afferma che con la sconfitta del capitalismo, la guerra stessa verrà sconfitta. La veracità di tale affermazione è confermata da numerosi esempi: guerra in iraq, guerra del Chaco (1932-35), Guerra del Vietnam, etc.

Naturalmente il proletariato non deve mirare alla mera conquista della macchina statale borghese bensi' deve procedere alla sua distruzione.
E' obbligo del proletariato sovvertire i caratteri dello stato borghese altrimenti una reale ed efficente dittatura proletaria non ha modo di esistere. O meglio: non sarebbe una dittatura del proletariato (o democrazia socialista, che dir si voglia).

In una parola. Non si può essere pacifisti senza essere intrinsecamente e realmente comunisti.
Il pacifista anti-comunista è un borghese che commercializza e strumentalizza biecamente un problema creato dalla borghesia stessa, ovvero la guerra.

IL SOCIALISMO E' LA RETTA VIA VERSO LA PACIFICAZIONE DEI POPOLI.