martedì 8 giugno 2010

Perplessità sulla scuola

Il professore arrogante soddisfa la sua sete di divertimento con il futuro dei suoi allievi: come può un uomo, per quanto maturo, competente e professionale, godere del diritto di giudicare (e condannare) i propri simili? Quale potere divino ed extraumano gli ha concesso un cosi' tristo diritto?
Ho veduto professori gettare il fango della propria rabbia esistenziale addosso ai visi indifesi degli alunni, perfettamente costretti a sedere dietro un lavorato pezzo di legno non molto differente da una gogna.

Possono alcuni Uomini decretare lo scorrere della celeste gioventù di un essere umano, orientandolo fin dall'infanzia all'istruzione obbligatoria?
E poi chi è la scuola per educarci? E l'educazione dataci dalla scuola ci insegna realmente a vivere meglio e comprendere i malanni della società in cui viviamo?

"La scuola è una gabbia", disse un innocente, ma sapiente, infante. Come dargli torto?

Ma la cosa peggiore, oltre al prezioso tempo della gioventù che ci viene meschinamente defraudato, è un'altra: il nostro futuro è nelle mani di un gruppo ristretto di soggetti, ovvero sia i professori.
Certo: basterebbe studiare è, cosi', siamo noi stessi a decretare il nostro futuro.
E se io non volessi studiare?
Perchè dovrei subire una penalizzazione per la mia libertà perfettamente esercitata?

Queste e altre domande battono violentemente contro la mia scatola cranica, gettandomi nel più ampio sconforto.

Una moderna notte urbana

Mandrie di grilli notturni
suonano la soave sinfonia
che accompagna le sanguisughe alate
verso la linda luce lunare.

Poi: tacciono.

Il tremendo rumoreggiare delle quattro ruote
copre il sacro cantare della Notte
e le zanzare che prima cercavano la Luna,
corrono rapide verso il primo lampione.

martedì 4 maggio 2010

Presa di coscienza

"Sono tanto convinto che la famiglia è il più grande focolaio di cattiveria, di asinaggine, che se mi fosse dato distruggere a scelta uno dei grandi flagelli umani: la religione o le cavallette, la proprietà individuale o il colera, la guerra o le zanzare, il governo o la grandine, i parlamenti o le fistole, la patria o la malaria, senza esitare sceglierei di distruggere la famiglia". Giovanni Rossi, anarchico italiano, fondatore della "Colonia Cecilia".


La cagione della mia pigrizia non è rappresentata dalla società ma dalla famiglia e dall'educazione da essa impartitami.
I miei genitori, fin dall'infanzia, hanno fatto di tutto e di più per soddisfare subitamente i miei vizi, i miei desideri, i miei capricci.
Sono loro che hanno cucinato e riempito il mio piatto di gustose e caloriche pietanze. Cosi', adesso, non sono in grado neanche di accendere un fornello per prepararmi il cibo. Non ne ho le capacità e lo sprone.

La frenesia domina ogni mia azione.
Voglio tutto e subito, senza il minimo sforzo o sacrificio.
La cultura (o la religione) del sacrificio: è quella che mi manca.
Il sacrificio dovrebbe essere cercato e trovato con avidità.
Invece io lo fuggo ardentemente, come fosse un terribile mostro che vuole cibarsi del mio grasso corpo infingardo.

Questa condizione non riguarda solo me. Essa riguarda la gran parte, se non la totalità, dei giovani che vivono nel fantastico (ma mostruoso) mondo del benessere.

Perchè i nostri genitori ci educano in quel modo?

A guidarli è la paura di farci provare il dolore, la disperazione delirante del raggiungere gradualmente e con tribolazione i propri obiettivi.
Loro hanno vissuto la totalità della propria esistenza sotto l'onnipresente scettro del sacrificio e dell'ottenere tutto da soli, senza aiuti paterni o materni.
Hanno provato e compreso quelle che sono le sofferenze fisiche e psicologiche dovute al lottare brutalmente e senza sosta per raggiungere un dato obiettivo.
Cosi', presi dalla fobia di farci soffrire quello che loro hanno sofferto, ci danno tutto e subito, assecondando ogni nostra richiesta, per quanto assurda possa essere.
Questo, si, ci evita il tremendo dolore del sacrificio ma mortifica il nostro futuro, allontana il raggiungimento dei nostri obiettivi. Perchè non siamo abituati a lottare o, come direbbe Hesse, ad "aspettare, pensare e digiunare".

La nostra generazione, probabilmente, perderà e la colpa sarà essenzialmente della precedente generazione, quella dei nostri genitori, che ci ha resi deboli, molli e terribilmente infingardi.
E questi sono i guai prodotti dalla famiglia e dall'educazione. Guai che, spero, non siano irrimediabili.

Non ci resta che morire. Quella è l'unica certezza che abbiamo.

giovedì 15 aprile 2010

A Roseto degli Abruzzi...

Mi trovo nel bel mezzo della stazione di Roseto.
Mi guardo intorno.
All'improvviso, fuori dal mio campo visivo, sento una grassa, prepotente risata.
Individuo subitamente la fonte. E' una ragazza ben vestita con abiti griffati.
E' appena uscita da un negozio d'abbigliamento.
Le sue mani curatissime sono sature di buste contenenti vestiti, vestiti e vestiti.
Probabilmente, nel fare i suoi acquisti, ha utilizzato una sovraccarica carta di credito.
Più tardi, quando rientro nella mia auto, penso: "Non voglio più sentire quell'orrenda risata!".

Cosi', a bordo della mia auto, mi allontano dalla stazione......

A Pescara...

Pescara.

E' una splendida giornata di sole.
Attendo che la psicologa apra le porte del suo profumato ufficio alla mia mente eternamente cagionevole.

La piazza è gremita di gente.
I cappotti invernali, che tanto erano serviti durante il rigido inverno, diventano un fardello troppo pesante da sopportare.

Il clima cambia continuamente ma resta, comunque, la cosa più monotona di questo mondo. Imprevedibile, si, ma pur sempre monotona.
O caldo o freddo, al massimo tiepido. Che noia!

C'è un tizio che mi somiglia vertiginosamente.
E' seduto su di una delle tante e omogenee panchine marmoree.
Ha i capelli, la faccia, il cappotto e la pancia smisuratamente enormi, proprio come me.
Sta leggendo un vecchio libro, in mezzo alla folla intellettualmente arida che occupa bastardamente il suolo della piazza e che lo osserva come fosse un vecchio che si è appena cagato addosso.
E' solo. Io scrivo e lui legge. Anch'io leggo. Perchè sono un lettore. Si, sono un lettore. Davvero? No, non ci credo. Io leggo!

Si è alzato!
Cammina a vuoto. Il suo fisico rimane sempre sullo stesso perimetro. Sembra quasi che stia aspettando qualcuno o, probabilmente, qualcosa.
La serenità, forse. Allora, si, in tal caso dovrà aspettare molto, tanto, troppo, sempre.
Marcirà su questa piazza.

La serenità, purtroppo, o per fortuna, manca sempre agli appuntamenti.

(A volte è proprio la mancanza di serenità che ci porta a ricercarla, cioè a rischiare, a combattere, a crescere).

sabato 27 marzo 2010

Ricordo del mio breve soggiorno a Nettuno (e la testa se ne va da se...)

Mi è sembrato di tornare nel passato.
Per un momento ho rivisto la strada satura di rassicuranti Cinquecento e di sfreccianti Giulietta.
Per un lungo, interminabile istante ho veduto Pasolini camminare per le incorruttibili dune della costa tirrenica.
Per un momento ho udito la radio tuonare con una vecchia canzone estiva cantata da qualche remoto e ora decrepito cantautore.
Per un momento (cioè una vita) sono tornato ad un tempo che non mi è appartenuto ma che sento mio e ineluttabilmente scomparso.

La tecnologia mi fa orrore ma sono costretto ad utilizzarla, non posso farne a meno.
Questa è la crudeltà della nostra società: ci mette contro la nostra stessa natura e ci costringe a fare quello che decide lei e che noi non vogliamo.

Molti parlano di speranza.
"Vedrai, arriveranno tempi migliori. Tutti saranno realmente liberi di fare, pensare ed essere ciò che desiderano".
La speranza. La speranza è come una gabbia angusta e invalicabile ma ornata e profumata.
La speranza è la nostra catena. La speranza ci rende immobili. Schiavi di un'immobilità squallida e, secondo il nostro stupido credo, positiva, produttiva.
"Spera e tutto andrà bene", mi dicono.
La speranza va vissuta con partecipazione. La speranza va coltivata. La pianta non cresce senza la continua assistenza e il puntuale nutrimento.

lunedì 1 marzo 2010

Il mio funerale...

Datemi una bettola, una discarica, una fabbrica abbandonata, un cesso ma, vi prego, non datemi una chiesa. Non voglio la chiesa come luogo fisico e spirituale del mio funerale. Non voglio dare il mio corpo morto in pasto ai preti e neanche a quel signore la cui presenza è falsa e soffocante quanto un grasso cane affamato.
Mi piacerebbe che il teatro del mio funerale fosse la natura. Un fresco bosco riparato dalla battente luce solare. Dovrei morire d'estate. Tutti i partecipanti, venendo al mio funerale, dovranno cogliere l'occasione per rinfrescarsi, fuggire dall'opprimente calura estiva. Un funerale utile.
Vi prego, non lasciate il mio corpo da solo. Non discernetelo dalla musica. Un funerale senza musica è come una vagina senza buco. Non serve a niente.
Però, attenti, non voglio la solita musica funerea, del cazzo. Una musica interessante. Belle parole, grande musica. De Andrè, per esempio. Una composizione che, ascoltata con attenzione, può accrescere il livello culturale, emotivo dei presenti. Artisti italiani, mi raccomando. Un funerale utilissimo.
Un'altra cosa: non mostrate il mio corpo nudo agli altri. Non ho mai amato Sade. L'ho odiato profondamente quando ha espresso la volontà di mostrare il suo cadavere nudo a tutti coloro che lo avrebbero salutato e omaggiato per l'ultima volta. Non si può accettare una simile denigrazione. Sono orgoglioso, fin troppo per farmi vedere nudo. Il cazzo mio è solo mio. Di nessun altro. Solo i miei occhi possono scorgerlo. Gettatemi nella bara cosi' come sono morto. Non mettetemi vestiti eleganti e costosi. Quelli, magari, utilizzateli voi che siete vivi. Vi serviranno di più.
Se proprio volete vestirmi, non fatelo. Lasciatemi in mutande, con il pene ben coperto. Cosi' i vermi e gli insetti, nel mangiare il mio corpo, arriveranno più facilmente alla carne, senza incappare nel fastidioso ostacolo delle stoffe.
Ancora: vi scongiuro, toglietemi gli occhiali. Seppellitemi senza occhiali. Ad occhi nudi. Ho vissuto un'intera vita (se cosi' possiamo chiamarla)con questi grevi e insensibili (ma sensati, purtroppo) occhialacci. Non li ho mai sopportati. Hanno contribuito, seppur in maniera secondaria, ad amputare la mia libertà esistenziale.
E poi, un'ultima cosa, non piangete, non soffrite.
Presto scoprirete che con la mia morte, tutti, ci avete guadagnato. Dopo la mia morte, probabilmente, peserete tutti venti o trenta chili in meno. Il mio peso è troppo alto per essere mantenuto. Va smaltito, immediatamente.

..........dimenticavo..........
I libri. Non regalatemi alla terra senza la compagnia dei libri. Bukowski. Voglio Charles con me. "Il capitano è fuori a pranzo". Charles. Charles.

domenica 28 febbraio 2010

Sono un lurido pezzo di merda (per nulla dissimile dalla ignorante marmaglia umana)

Seduto sul suo comodo letto, il ragazzo ascolta della buona musica. Musica commerciale che si sente dovunque, nei supermercati, nei negozi d'abbigliamento, nei centri commerciali. Piacevole.
Il tempo scorre. Qualcuno nel mondo, certamente, sarà morto, starà morendo, sarà nato, starà nascendo. Ma al ragazzo non importa niente. Non ci pensa. Continua ad ascoltare la sua stupida musica che, purtroppo, in quel preciso istante, molte persone nel mondo stanno ascoltando.
La televisione dà una tragica notizia. Un operaio edile, l'ennesimo, è morto mentre lavorava. Caduto dà un'impalcatura e atterrato con la pancia e la faccia dopo un volo di cinquanta o sessanta metri. Nulla rimane del suo viso già dilaniato dalle fatiche del lavoro di una vita. Lascia la famiglia, l'unica cosa tangibile e preziosa che possedeva
Ma la televisione del ragazzo è spenta. La spina elettrica staccata. Lui ascolta la sua musica e scalda il letto.
Un bambino, probabilmente, anzi sicuramente, è vittima, in qualche parte del mondo, di uno stupro, di un abuso sessuale.
Soffrirà per tutta la vita. Perirà per tutta la vità. I suoi sentimenti? Le sue emozioni? La sua vita? A fanculo, per sempre.
Ma il ragazzo, niente. Ascolta la musica e, addirittura, sonnecchia.
In una remota parte del mondo, intere popolazioni sono devastate dall'atroce potenza di un terremoto. Migliaia di morti e feriti. Case, famiglie e vite distrutte. E il ragazzo, invece, si permette di sonnecchiare. Si permette di ignorare.

"Perchè ho la strana abitudine di parlare in terza persona?"

mercoledì 24 febbraio 2010


Mi piacerebbe sapere se, adesso, in questo preciso istante, qualcuno mi sta pensando.
Spero soltanto che, adesso, in questo preciso momento, qualche bella ragazza da me conosciuta sta riflettendo sulla mia persona fisica, intellettuale, caratteriale.

Sono un orfano, un senzatetto. Ho bisogno di una casa. E non c'è dimora migliore della mente di chi ci conosce. Non chiedo il cuore, sono umile, mi basta la mente, anche un solo, misero e flebile pensiero.
Mi basta.
Spero.
La speranza è sempre l'ultima a morire ma, alla fine, si sà, muore lo stesso.

martedì 23 febbraio 2010

Oggi


Oggi mi sento un pò come Marsia, il centauro scuoiato vivo per aver perduto una gara musicale con il divino Apollo.

Ho perduto la dura battaglia per la conquista della serenità.
Ho perduto tutto, anche quel minimo di felicità che ero riuscito, dolorosamente, a conquistare.

E come Marsia, merito la più estrema delle punizioni....

Il suicida


Vedo il sangue che voracemente sgorga dalle verdissime vene del mio polso.

Comincio a smarrire le forze. La vita mi sta lentamente abbandonando.

Vedo una luce. Forse è quella del paradiso. Dio, probabilmente, esiste. Ed io sto per raggiungerlo.

Non credevo che fosse cosi' facile e piacevole morire.

Ho preso un coltello. Ho poggiato la tagliente lama sul lucido polso e....zac! ho tagliato.

Il calore del sangue mi ha ustionato le braccia. Il rosso del sangue si mischiava allo spleen che, per fortuna, lasciava il mio corpo eternamente morente.

La bile nera della malinconia, contenuta nella milza mi ha, cosi', abbandonato. La serenità mi ha pervaso e dominato.

Che piacere!

Ma la vita mi sta lasciando e, purtroppo, non posso assaporare durevolmente il gusto di un'esistenza serena e priva di dolori interiori.

Non mi resta che sperare nel paradiso. Ma si sà, il suicida merita l'inferno. Niente paradiso, solo inferno.
Mi accontento. Voglio soltanto restare l'eterno compagno di questa splendida serenità....

lunedì 22 febbraio 2010

VISIONI ALLUCINOGENE (ciò che ho veduto dopo aver consumato dei funghetti allucinogeni....)

E' proprio vero: ci sono alcune sostanze che, per fortuna, ti permettono di vedere la realtà con lucidità estrema...

"Un cavallo corre pazzamente nella mia camera da letto.
Corre per raggiungere una meta che però, data l'estrema grandezza della mia camera, non riesce a toccare.
Io tento di fermarlo ma lui mi ignora.
Urlo, smanaccio, gli corro dietro ma niente, sembra sordo e cieco.
Dopo poco tempo, però, il cavallo scompare. O meglio, si trasforma in una grossa e famelica tigre che, per soddisfare la sua atavica fame, vuole cibarsi del mio grasso e grosso corpo.
Io, con estrema gentilezza, come se fosse un piccolo gattino indifeso, la esorto a lasciarmi in pace ma lei, niente, non mi ascolta. Si avvicina sempre di più. La bocca si apre lentamente. Mi mostra le sue zanne bianche e affilate.
E' sempre più vicina. Vicinissima. Io resto immobile. Non riesco a muovermi. Sono bloccato.
Fuoco. Fuochissimo!
La bocca della tigre è davanti alla mia testa.
Ho paura. Penso: "ecco, è arrivato il momento di morire". Chiudo gli occhi. Mi rassegno al fato crudele.
Passano diversi secondi. Sono ancora vivo. Non riesco a sentire l'odore del sangue e, cosa molto positiva, non avverto più il greve respiro della tigre.
Un flebile lamento di gioia mi arriva alle orecchie.
Un lamento canino.
Apro gli occhi.
Vedo cosi' il mio piccolo cane nero. Mi sta guardando e sembra quasi che mi stia sorridendo. Ricambio il sorriso e lui, senza perdere un secondo, mi salta addosso e, sventolando la lingua sul mio corpo non più immobile, manifesta tutta la sua gioia di vedermi."

mercoledì 17 febbraio 2010


Attraverso il contatto diretto e reiterato con le masse, dobbiamo analizzare la realtà (la società) con un punto di vista marxista-leninista (rapportando tutto al conflitto capitale-lavoro) attraverso un importante ed efficace strumento qual è l'INCHIESTA.
Sulla base dell'analisi, dobbiamo elaborare una giusta teoria (come agire? che fare?) che ci serva da guida per la pratica.
In una parola: partire dalla realtà per modificare la realtà. Questo significa essere MARXISTI.

sabato 13 febbraio 2010

Ad un non cOMUNISTA


Se ti ritieni comunista soltanto perchè il marxismo, rappresentando un certo impianto filosofico, presenta una sua complessità ed un determinato fascino intellettuale, sei assolutamente libero di esserlo.
Ma io, invece, a differenza della tua vanità intellettuale, sono comunista perchè desidero fermamente l'emancipazione del proletariato dalla borghesia. Desidero ardentemente che ogni condizione di "sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo" sia completamente annullata. Desidero una VITA migliore per tutti quei lavoratori salariati che, per coltivare l'ingente ricchezza altrui, quella dei borghesi, sono condannati ad una vita di stenti e di miseri riconoscimenti. Desidero, dunque, un mondo dove l'uomo (l'operaio) non sia costretto a VENDERSI per sopravvivere.
Desidero un mondo più giusto, socialmente equo.
Desidero, in una parola, il comunismo.
Io sono comunista perchè voglio il comunismo.
Quindi, caro amico, e non compagno, fatti da parte e lasciaci tingere di rosso questo mondo fin troppo nero.

La storia la fanno i vincitori


Tutti si ricordano ed amano ricordare le morti dovute al comunismo, sia esso cinese, russo, cambogiano o vietnamita. Nessuno, però, in perfetta malafede, rammenta le migliaia e migliaia di morti dovute all'imperialismo sfrenato dei primi anni del novecento. Nessuno ricorda la dignità delle popolazioni africane ed asiatiche, calpestata dall'arroganza britannica, francese, tedesca e, soprattutto, statunitense.
Dignità che l'imperialismo continua tutt'oggi a calpestare, come accade in Afghanistan e in Iraq.
Purtroppo la storia la fanno i vincitori.
Spero solo che, in un futuro prossimo, possiamo riunirci tutti insieme e, con le lacrime agli occhi e la mente aperta, ricordare, in una speciale "giornata della memoria", tutte quelle povere ed anonime persone che hanno perito sotto il famelico scettro dell'imperialismo. Lo spero.
Lo credo. Vedo rosso.....

giovedì 11 febbraio 2010

L'unione




Un pezzo di pane secco e ammuffito. Un bicchiere di latte scaduto e fetido. I due si ritrovano in una piazza spaziosa ma brulla.
Parlano. Scherzano. Ridono. Stanno bene.
Ad un tratto, improvvisamente, il pezzo di pane si tuffa nel bicchiere di latte.
Il pane assorbe tutto il liquido latteo.
Il pane secco diventa morbido ed assume un fuglido colore biancastro.
Adesso il latte ed il pane sono un'unica cosa. L'unione fa la forza e, soprattutto, annulla tutto ciò che c'è di malvagio, orrendo.

mercoledì 10 febbraio 2010

Il regno dei cieli


Gesù (altro che anarchico) è il più grande aristocratico della storia. L'essenza della sua parola è piuttosto chiara: "Sottomettervi tutti uniti all'unico e immenso monarca, cioè Dio. Lui avrà pietà di voi".

sabato 6 febbraio 2010

Il gatto

Esco fuori. Accendo una sigaretta. Fumo e mi sento bene. Il dolore esistenziale, anche se solo per un momento, si placa. Il tabacco brucia e con esso i miei polmoni. Ogni boccata è un piacere e un dispiacere. La sigaretta è quasi finita. Il dolore torna lentamente. Non potrebbero inventare una sigaretta infinita? Sarebbe una perfetta soluzione al dolore che, fin dalla notte dei tempi, affligge noi poveri esseri umani. Esseri fragili, anche nella loro malvagità estrema.
La fragilità e la malvagità sono due facce della stessa medaglia. Anzi, la stessa faccia della stessa medaglia.
La sigaretta è finita. Il dolore torna. La fragilità e la malvagità....scendo in strada. Catturo un gatto. Lo ammazzo di botte. Raccolgo il suo piccolo corpo tumefatto, massacrato. Con estremo stupore e piacevole ammirazione mi accorgo che il piccolo animale è ancora vivo. Rantola. Un flebile lamento esce dalla sua bocca. "Muori bastardo!", urlo con rabbia. Lo sbatto violentemente a terra come un qualsiasi sacco di sabbia. La piccola testolina si apre. La materia cerebrale fuoriesce e si spande sul freddo asfalto brullo. La strada è vuota. Il gatto è morto. Era un cucciolo. Ho amputato la sua esistenza. Gli ho impedito la crescita. L'ho privato della dolorosa gioia di vivere. Gli ho tolto qualsiasi possibilità di vita. "Gatto di merda", dico malinconicamente, "non prendertela con me. Sono un uomo. Sono fragile. Devi comprendermi". Intanto il gatto è morto. Ed io sono vivo. Chi è più fortunato?

lunedì 18 gennaio 2010

Ricordo...

Una splendida ragazza, alta, gambe snelle, lunghi capelli biondi, pelle dolcemente bianca, linda e candida, occhi azzurri.
La madre non è da meno. Una fulgida donna bionda sui quarant'anni, statura medio-alta, carnagione scura. La sua è una pelle perfettamente abbronzata che restituisce al riguardanta un sentimento morbosamente erotico. Un erotismo che rasenta il pornografico tendente al sadismo.
Madre e figlia: due creature angeliche.
Purtroppo, esse non si trovano in Paradiso e nemmeno nel purgatorio e neanche in una chiesa.
Il loro luminosi fisici femminili sono ben lontani da un luogo ameno, adatto alla loro lucente bellezza.
Non il Paradiso, non il purgatorio, non la chiesa: ma dove si trovano? Dove le ho viste?

In ospedale. Reparto neuropsochiatria del "G.Salesi" di Ancona. Una sala d'aspetto fredda e vuota. E' sera.
Io sono un comune ricoverato. La cagione del mio ricovero è una crudele convulsione morfeica che mi aveva colpito qualche giorno prima, il 6 gennaio del 2003 per essere precisi.
Quella sera decisi di abbandonare l'angusta camera da letto per rifugiarmi nella sala d'aspetto del reparto, in compagnia di mia madre e di un ragazzo da me conosciuto in seno alla struttura ospedaliera.
Rammento che la mia camera era sita a pochi passi dall'inferno che tormentava un esserino appena nato. Un neonato era afflitto da un tumore al cervello che lo aveva accompagnato fin dalla sua nascita. Pianti e urla: il bambino non faceva altro. Un pessimo modo di venire al mondo.
Mi recai dunque nella sala d'aspetto. Avevamo intenzione di guardare la televisione.
La madre del mio novello ed estemporaneo compagno ci raggiunge. Siede con noi.
Le due angeliche creatura prima descritte irrompono nella stanza.
La donna abbronzata urla, impreca e bestemmia: vuole fuggire da quell'infame luogo qual'è l'ospedale.
La figlia ha un'età inferiore alla mia, eppure sembra cosi stupendamente adulta. La bella fanciulla parla continuamente ma a vuoto. E' affetta da un'incorreggibile patologia neurologica che la fa parlare a vanvera. E' una ridardata mentale. Cosi' avanti con il fisico ma altrettando indietro con la mente.
Lei parla da sola. Parla sempre. Sproloqui a non finire.
"Che senso hanno le parole che dice?", mi domando. Non riesco ad ottenere una risposta. Non posso afferrare il significato razionale delle parole enunciate dalla donna. Vocaboli, periodi che non potrei scrivere. E' difficile riportare ciò che non ha un senso neanche lontanamente intuito e intuibile.

La madre della fanciulla è molto arrabbiata. E' delusa dalla vita. Rinnega la vita. Fuma avidamente.
"Il fumo è il mio unico amico", dice convintamente, con le lacrime agli occhi.
La natura le ha dato una figlia tanto bella quanto vuota intellettualmente. La nostra bruta società non accetterà mai una minorata mentale, per quanto bella possa essere.
Non ' la natura ad essere crudele, bensi' la nostra civiltà.
La donna lancia una lunga e violenta invettiva contro i suoi cari, specialmente verso il marito che l'ha abbandonata(Come può un uomo lasciare una creatura cosi venusta?). Lei è sola, con una figlia malata. "Meglio fumare, fino a morire", cosi dice schiettamente.
Io, mia madre, il mio compagno e la sua rispettiva madre, ascoltiamo le frustrate parole della donna con una rassegnata disperazione. Siamo senza fiato. Sconvolti fino all'osso.
Il lungo monologo della donna si conclude. La figlia continua a sparlare.

Tra poco riceverò la visita di mio padre e di alcuni amici.

La madre e l'insana figlia se ne vanno.
Non le ho più riviste ma la loro immortale presenza non mi abbandonerà mai.
Hanno irrimediabilmente vessato la mia fragile anima.

Bozza per un progetto cinematografico....

Questa mattina, come di consueto, mi sono alzata in primissima mattinata, quando il sole non era ancora sorto, per fare il mio dovere.
Adesso sono sveglia.
Mi lavo la faccia. Mi pulisco le tette. Scorreggio. Mi lavo i denti e sputo nel lavandino. Piscio. Caco. Mi pulisco. Le mutande (bianche?) puzzano e sono sporche ma non le cambierò. Guardo le mie ascelle piene di peli. Li taglio. Non li taglio. Li taglio? No, non li taglio. Fanno sempre comodo, tengono caldo, specie d'inverno.
Oggi mi vesto bene. Maglia di pile nera, pantaloni eleganti di color marrone, scarpe sportive bianche. Capelli sciolti (c'è qualche nodo ma non fa niente, non mi danno fastidio!).
Salgo sul tram. Le porte si chiudono ermeticamente. Cala il buio. Un silenzio assoluto e assurdo opprime l'intero ambiente. I finestrini diventano completamente neri. Comincio ad aver paura. Mi sembra di essere chiusa in una piccola stanza in cemento armato, priva di luce e suono. Invece sono su di un tram che, forse, sta camminando sull'asfalto ruvido e tortuoso. Pezzi di merda, penso, è uno scherzo. Ma io non mi faccio prendere dalla paura.
Poi, improvvisamente, torna la luce e, con essa, la normalità. Sono arrivata a destinazione.
Mi alzo e, camminando per la passerella che taglia i sedili del tram ordinatamente disposti, passo davanti al posto di guida e, con estremo stupore, vedo che non c'è nessuno al volante. Il tram ha camminato autonomanente: uno scherzo ben organizzato, non c'è che dire.
Scendo. Il tram riparte ma, questa volta, l'autista c'è. E con esso una vastissima folla di clienti che occupa tutti i posti disponibili. Non capisco.
Mi trovo nel luogo dove, come di consueto, dovrò eseguire il mio dovere.
Il grande edificio bianco rettangolare mi attende immobile ma è proprio la sua condizione di stasi che lo rende incredibilmente inquietante.
Si avvertono dei rumori metallici, i soliti, che provengono dal suo interno. Suona una sirena. Dopo poco tempo esce un vasto gruppo di persone, perlopiù donne come me. Ridono, scherzano.
Ne entrano delle altre. Entro anche io. E' il mio turno.
Vorrei piangere, ma devo lavorare.

domenica 10 gennaio 2010

Atto di fermezza

Io voglio e devo combattere per migliorare le condizioni di vita di chi, ahimè, non gode di buona salute economica, fisica, sociale. La mia vita deve essere strettamente collegata a quella degli altri. Io devo vivere in funzione degli altri.
Aiutare gli altri. Un aiuto, però, finalizzato al miglioramento dell'esistenza altrui.
Io voglio diventare un sindacalista.
I lavoratori salariati, attualmente, anche se non è una novità, hanno veramente bisogno di chi si occupi dei loro problemi, della loro stessa vita che è messa costantemente in pericolo.
Le mie parole, forse, possono sembrare false o dettate da un istinto emotivo per nulla valevole e sincero. Ma questo non mi interessa. Basta con il porsi continui problemi sul cosa posso e non posso fare. Basta con le gergali seghe mentali. Io diventerò un sindacalista e se per caso non dovessi riuscirci, beh me ne farò una ragione e troverò un metodo alternativo per aiutare e migliorare gli altri. Ci sono tanti modi per prestare il proprio aiuto ed io, in caso di necessità, non me li farò scappare.

sabato 9 gennaio 2010

PENSIERO DI UN miserabile

"Non ho bisogno di preoccuparmi eccessivamente per le sorti del mio futuro, sia esso prossimo o anteriore.
La mia vita ha già un termine, che coincide con il fatidico, atteso e teso incontro con il monossido di carbonio. Quando tutte le mie aspettative saranno miserabilmente tradite, non resterà che uccidersi, cessare il mio travagliato rapporto con la vita.
Il monossido di carbonio mi guiderà, consapevolmente, placidamente e, soprattutto, senza alcun dolore alla morte. Una morte, ribadisco, consapevole. Assaporare il dolce sapore della falce metallica della morte che, con godibile spietatezza, pone fine a tutte le sofferenze; sofferenze dovute al fallimento dei miei progetti...io voglio diventare questo, quell'altro, quest'altro ma la verità è una sola: io non diventerò nulla; non farò nulla di tutto ciò che ho programmato. Le mie mire sono destinate, ahimè, al fallimento misero e miserabile.
Ma io non starò a piangermi addosso: la farò finita. Il suicidio, quando tutte le persone più care non saranno altro che pasto per i vermi, sarà una via eccitante che mi consentirà di liberarmi dai fallimenti e, soprattutto, di provare il gusto della morte lenta e consapevole. Una morte che, grazie al monossido di carbonio ed ai suoi paradisiaci effetti, farà apparire tutto come l'inizio di un lungo e profondo sonno dal quale, beato me!, non mi desterò mai.
Morire disteso comodamente su di un divano, assaporando il dolce profumo del "gas fatale" che aleggia e si diffonde sulla e nella stanza: ho diritto di chiedere di più?
Se domani, dopodomani o fra un anno, qualcosa dovesse andare male, non mi getterei nella disperazione; la mia esistenza ha una scadenza, un punto di arrivo che dissiperà ogni sconfitta, ogni patimento.
Nessuna confessione religiosa sarà mai in grado, per quanto diffusa tra la razza umana, di purificarmi. Il monossido di carbonio (piacevole messaggero della morte) agirà lentamente sul mio corpo e, come un Dio onnipotente, onnisciente ed assolutamente buono, allevierà ogni mia sofferenza e mi lascerà il gustoso sapore della vita che si conclude e, cioè, della gioia che prende il sopravvento."

Riflessioni sgrammaticate sul Lider Maximo...

Non una canzone. Non un manifesto. Non una statua. Non un effige.
Totale assenza del culto della personalità. Questo è Fidel Castro.
"Castro, dopo aver rovesciato il dittatore e fantoccio degli americani, Fulgencio Batista, promette al popolo che, a breve, saranno indette democratiche
elezioni". Questo accadeva nel 1959. Adesso siamo nel 2010 e tale promessa non è stata mantenuta. Fidel Castro detiene ancora il potere.
Adesso: Castro è tanto assetato di potere da non potersene liberare oppure la sua permanenza al posto di comando rappresenta una necessità per il popolo
cubano?
Gli Stati Uniti, anch'essi sconfitti dalla rivoluzione cubana, in seguito alla quale hanno perso numerosi possedimenti e guadagni, sono sempre pronti a
riacquistare il loro controllo sulla "piccola isola che ebbe il coraggio di sfidare il colosso americano".
Fidel Castro, dunque, resta ancorato al potere per impedire che gli Usa vanifichino tutto il lavoro fatto dal governo cubano e tornino a sfruttare economicamente e socialmente la popolazione cubana.
Infatti, Fidel Castro, e lo dimostrano i numerosi attentati di matrice statunitense nei suoi confronti, ha adottato, e continua ad adottare sempiternamente, politiche avverse agli interessi imperialistici degli Stati Uniti, come la ormai passata nazionalizzazione delle imprese industriali che ha portato, evviva!, alla perdita di numerose raffinerie di zucchero da parte delle imprese nord americane (per individuare politiche di analoga portata, è possibile consultare un qualsiasi documento concernente la rivoluzione cubana ed i suoi effetti)

Ma Cuba ha davvero un "regime autoritario"? Non saprei.
Cuba è suddivisa in circoscrizioni territoriali dove, al loro interno, si svolgono puntualmente delle elezioni, mediante la democrazia diretta ed un suffragio di carattere universale, per eleggere dei rappresentanti locali. Certo, c'è un partito unico (Partido Comunista de Cuba) ma, in cambio, il popolo ha la possibilità di scegliere L'UOMO che meglio lo rappresenti. Cosa che, invece, non accade nella nostra cara democrazia (vedere il testo della legge Calderoli, sul sistema elettorale italiano).


Purtroppo mi trovo in uno stato di penoso e perenne disagio quando, maledetto me!, parlo di Cuba. E' proprio vero: quella piccola isola, comandata da quel
"vecchio terrorista" è la fucina e la culla di terribili terroristi che con le loro bombe minacciano la tranquillità del popolo nord americano.
Infatti, il filantropico governo degli Stati uniti, viste le innumerevoli "missioni di pace" alle quali partecipa e contribuisce, sostiene che Cuba fornisca appoggio e rifugio ad alcuni terroristi baschi e colombiani ed a latitanti in fuga dalla Giustizia americana (giustizia da sempre infallibile, come nel caso di Sacco e Vanzetti...). Cosi', quel demoniaco paese qual'è Cuba, è stato inserito nella lista degli "Stati sponsor del terrorismo".
Peccato che a fornire asilo ed appoggio ai terroristi "anticastristi" siano gli Stati Uniti, nonostante il favoloso governo (o consiglio d'amministrazione) americano si sciacqui, da sempre, la bocca con la giustizia e la pace. E inoltre come è possibile dimenticare gli innumerevoli attentati a Fidel Castro
finanziati ed organizzati dagli Stati Uniti?
Attentati che, anche con l'ausilio della fortuna!, non hanno mai raggiunto il fine ultimo: eliminare Fidel Castro.
Ma l'obiettivo degli atti terroristici degli Usa non è sempre stato quello di eliminare fisicamente il Lider Maximo.
Un attentato curioso (molto curioso) è rappresentato dal tentativo da parte di uno "sgherro a stelle strisce" di far ingoiare a Fidel una "pozione" che, nel
giro di poco tempo, lo avrebbe reso completamente calvo ed imberbe; in quel modo il Leader cubano avrebbe assunto sembianze ridicole e la propaganda statunitense avrebbe potuto lavorarci su......
Ma queste sono altre storie.

Nonostante Cuba non sia un paese totalmente socialista ("Dobbiamo pensare come capitalisti senza smettere di essere comunisti" J.Garcia Olivares, presidente
della camera di commercio cubana), apprezzo una buona parte delle sue politiche "socialisteggianti" (o tendenti al socialismo) come l'arcinota riforma agraria, la nazionalizzazione delle imprese industriali, la libertà di culto, ecc.

All'interno di certi ambienti comunisti però, quasi fosse un reato, è impossibile parlare bene di Fidel Castro, in quanto, molti, dicono: "Castro è stato educato dai gesuiti, quindi ha delle radici religiose che non potrà mai abbandonare. Castro è un borghese!". Ma io dico a queste persone: Stalin non ha forse frequentato un seminario, alloggiato per anni nella casa di un sacerdote e vissuto una buona parte della sua adolescenza da credente praticante? Ah, certo: Stalin non ha mai fatto questo nè quell'altro, tutti falsi storici. Si, Stalin è un Dio tanto che nessuno di noi ha il POTERE di criticarlo.
Stalin è il nostro maestro; Stalin ha sempre ragione e noi, che magari facciamo realmente parte del proletariato, e quindi, in uno stato socialista, dovremmo
detenere il potere ed avere sempre ragione, siamo dei poveri idioti.....certe volte penso: ma quale differenza c'è tra il regime sovietico ed il fascismo?
Ieri, passando per un centro anziani, una donna ormai corrosa, nel fisico e nella mente, dalla vecchiaia, avendo di fronte la figura di Stalin e quella di Berlusconi, mi ha detto: sai, non c'è poi mica differenza tra questo (Stalin) e quest'altro (Berlusconi); il regime è sempre regime, di qualsiasi colore sia, rosso, verde, viola, giallo, nero, rosso....
Dopo un iniziale rifiuto categorico delle sue affermazioni, ho pensato consciamente, lucidamente: e se la signora avesse ragione?

Quesito sul cosiddetto "Stalinismo"....

La dittatura del proletariato e non la dittatura del partito (del proletariato).
Ma se il partito è composto dal proletariato, allora non vuol dire che il potere è nelle mani del proletariato?