lunedì 18 gennaio 2010

Ricordo...

Una splendida ragazza, alta, gambe snelle, lunghi capelli biondi, pelle dolcemente bianca, linda e candida, occhi azzurri.
La madre non è da meno. Una fulgida donna bionda sui quarant'anni, statura medio-alta, carnagione scura. La sua è una pelle perfettamente abbronzata che restituisce al riguardanta un sentimento morbosamente erotico. Un erotismo che rasenta il pornografico tendente al sadismo.
Madre e figlia: due creature angeliche.
Purtroppo, esse non si trovano in Paradiso e nemmeno nel purgatorio e neanche in una chiesa.
Il loro luminosi fisici femminili sono ben lontani da un luogo ameno, adatto alla loro lucente bellezza.
Non il Paradiso, non il purgatorio, non la chiesa: ma dove si trovano? Dove le ho viste?

In ospedale. Reparto neuropsochiatria del "G.Salesi" di Ancona. Una sala d'aspetto fredda e vuota. E' sera.
Io sono un comune ricoverato. La cagione del mio ricovero è una crudele convulsione morfeica che mi aveva colpito qualche giorno prima, il 6 gennaio del 2003 per essere precisi.
Quella sera decisi di abbandonare l'angusta camera da letto per rifugiarmi nella sala d'aspetto del reparto, in compagnia di mia madre e di un ragazzo da me conosciuto in seno alla struttura ospedaliera.
Rammento che la mia camera era sita a pochi passi dall'inferno che tormentava un esserino appena nato. Un neonato era afflitto da un tumore al cervello che lo aveva accompagnato fin dalla sua nascita. Pianti e urla: il bambino non faceva altro. Un pessimo modo di venire al mondo.
Mi recai dunque nella sala d'aspetto. Avevamo intenzione di guardare la televisione.
La madre del mio novello ed estemporaneo compagno ci raggiunge. Siede con noi.
Le due angeliche creatura prima descritte irrompono nella stanza.
La donna abbronzata urla, impreca e bestemmia: vuole fuggire da quell'infame luogo qual'è l'ospedale.
La figlia ha un'età inferiore alla mia, eppure sembra cosi stupendamente adulta. La bella fanciulla parla continuamente ma a vuoto. E' affetta da un'incorreggibile patologia neurologica che la fa parlare a vanvera. E' una ridardata mentale. Cosi' avanti con il fisico ma altrettando indietro con la mente.
Lei parla da sola. Parla sempre. Sproloqui a non finire.
"Che senso hanno le parole che dice?", mi domando. Non riesco ad ottenere una risposta. Non posso afferrare il significato razionale delle parole enunciate dalla donna. Vocaboli, periodi che non potrei scrivere. E' difficile riportare ciò che non ha un senso neanche lontanamente intuito e intuibile.

La madre della fanciulla è molto arrabbiata. E' delusa dalla vita. Rinnega la vita. Fuma avidamente.
"Il fumo è il mio unico amico", dice convintamente, con le lacrime agli occhi.
La natura le ha dato una figlia tanto bella quanto vuota intellettualmente. La nostra bruta società non accetterà mai una minorata mentale, per quanto bella possa essere.
Non ' la natura ad essere crudele, bensi' la nostra civiltà.
La donna lancia una lunga e violenta invettiva contro i suoi cari, specialmente verso il marito che l'ha abbandonata(Come può un uomo lasciare una creatura cosi venusta?). Lei è sola, con una figlia malata. "Meglio fumare, fino a morire", cosi dice schiettamente.
Io, mia madre, il mio compagno e la sua rispettiva madre, ascoltiamo le frustrate parole della donna con una rassegnata disperazione. Siamo senza fiato. Sconvolti fino all'osso.
Il lungo monologo della donna si conclude. La figlia continua a sparlare.

Tra poco riceverò la visita di mio padre e di alcuni amici.

La madre e l'insana figlia se ne vanno.
Non le ho più riviste ma la loro immortale presenza non mi abbandonerà mai.
Hanno irrimediabilmente vessato la mia fragile anima.

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