lunedì 30 novembre 2009

Le contraddizioni in seno alla classe operaia (colpa degli operai?!)

Capo operaio, responsabile di quel settore, di quell'altro settore, sotto-responsabile, delegato di questo, quell'altro, ecc.
La borghesia, per mantenersi tranquilla e stabile nel suo stato di dominio, tenta (e ci riesce!) di creare antagonismi in seno alla classe operaia.
Mio padre mi racconta che, nella piccola impresa dove lavora come operaio, è stata introdotta la figura (già nota) del capo operaio, ossia un soggetto dipendente (dall'imprenditore) che ha il compito di coordinare e dirigere direttamente le funzioni esercitate dagli operai "semplici". Dunque: il capo operaio è una sorta di intermediario tra dirigente d'azienda e lavoratori dipendenti, ovvero gli operai.
E come viene nominato il capo operaio?
Esso (guarda caso!) viene selezionato tra gli operai "semplici". Essere capo operaio, come è facile intuire, significa percepire un salario più sostanzioso, rispetto a quello dell'operaio consueto.

L'operaio consueto (o semplice), vedendosi aumentato lo stipendio, mira ragionevolmente (visti anche i tempi disastrosi che corrono) alla "promozione", che viene raggiunta solo in seguito ad una accesa (e spietata) competizione con i propri colleghi. E, molto spesso, il capo operaio è colui che meglio SERVE l'imprenditore: quindi viene legittimata (e favorita) la riverenza "leccaculista" nei riguardi dell'imprenditore (e questo è male assoluto..)
Ma la cosa maggiormente inquietante è un'altra: gli operai "semplici" combattono tra di loro per raggiungere uno status salariale più valido (rispetto a quello regolare); questo scontro, purtroppo, crea antagonismi inutili e nocivi tra gli operai, che distolgono l'attenzione del lavoratore da quelle che sono le problematiche delle quali è quotidianamente soggetto.
Più schiettamente: la succitata competizione allontana la mente dell'operaio da un processo necessario, emancipatorio, ovvero quello di edificazione socialista.

sabato 28 novembre 2009

In treno verso Pescara (26-11-2009)

Salgo sul treno.
Prendo posto nello scompartimento di seconda classe (soltanto perchè la terza non esiste più), che ho legalmente conquistato con un biglietto di esiguo valore pecuniario.
Dinanzi a me, con una lunga e colorata tunica addosso, è seduto un signore di colore, di quarant'anni circa.
La sua testa mora è sormontata da un cappello di lana blu, di quelli che si acquistano a poco prezzo in un modesto negozio di abbigliamento.
Il signore è timido (proprio come me! siamo uguali!); mi evita con lo sguardo per paura di offendermi. "Meglio essere placidi e taciturni con gli italiani che, purtroppo, sono pieni di pregiudizio nei confronti di noi negri", gli avranno ripetuto prima di lasciare il proprio paese per raggiungere quel falso paradiso qual'è l'Italia ("L'Italia è un paese civile dal punto di vista igienico ma non da quello culturale e, appunto, civile": chi lo disse?!).
Molti dicono: "gli stranieri sono schivi, non danno confidenze a noi italiani. Nel loro silenzio covano l'odio più spietato che, puntualmente, scaricano sulle nostre donne, italiane"
Il silenzio dell'uomo di colore del treno è, dunque, l'embrione di un odio interiore, profondo e muto?
No, non ci credo; non posso crederci.
Quell'uomo, nei suoi occhi sinceri ed eloquenti, racchiudeva una tale tenerezza che, difficilmente, utopisticamente, poteva tramutarsi in violenza (sulle donne, poi!).
Ho fiducia in quell'uomo; la sua pelle nera non mi crea alcun timore, anzi: sono ben felice di sedere vicino ad un uomo di colore, un africano probabilmente.
Vorrei stringergli la mano (o addirittura baciarlo!) ma non mi è consentito.
Gli italiani sono macchiati e accecati dal pregiudizio; e io sono un italiano che, per colpa di quell'odioso (ma fascinoso) medium di massa, ossia la televisione, è come tutti gli altri.
Ah, già: la televisione......."E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce"

giovedì 26 novembre 2009

Pensiero derivante da (e non sò il perchè) "Sonetto alla libertà" di Oscar Wilde....

La democrazia è un terribile mostro camuffato,astutamente e credibilmente, da tacito e placido infante.Per smascherare(e rivelare)il mostro bisogna ricorrere ad una sostanza caustica(quale?)capace di cancellare anche la minima(e remota) conoscenza della democrazia.Ma se l'inverso della democrazia è la dittatura,quale possibilità abbiamo di liberarci da quel mostro,che nel suo travestimento fatalmente dura?

lunedì 16 novembre 2009

Monoteismo o politeismo?


Il cristianesimo è una religione monoteista?

Prendendo una pagina web qualsiasi, troviamo questa definizione del cristianesimo: "il cristianesimo è una religione MONOTEISTA a carattere universalistico, fondata sull'insegnamento di Gesù". Bene, secondo questa definizione tratta da "Wikipedia", il cristianesimo è una religione monoteista. Cosa si intende per monoteismo? Il monoteismo è la fede in una sola divinità, identificata come Dio.
Il cristianesimo, inoltre, si suddivide in tre "sottogeneri": protestantesimo, ortodossi, cattolicesimo.
E proprio del cattolicesimo che voglio parlare.
Quindi: il cattolicesimo è una forma di religione monoteista?
I cattolici venerano un solo Dio?
Per rispondere alle succitate domande, avverto l'esigenza di narrare una storia, che ha visto come protagonista una donna, una mia conoscente.
Questa donna, che chiamiamo ipoteticamente Marisa, aveva una marito, con il quale aveva "prodotto" uno splendido figlio.
Questo suo figlio, appena diciottenne, rimase coinvolto in un incidente, che lo gettò in un penoso stato di coma profondo. Le condizioni del giovane erano disastrose ma stabili. Marisa era devastata dallo sconforto più torvo e delirante. Cosa poteva fare per aiutare il suo povero figlio inerme?
Rivolgersi al divino era l'unica soluzione accettabile e, probabilmente, produttiva.
Marisa soggiornò per alcuni giorni a San Giovanni Rotondo (dimora del FANTOMATICO Padre Pio da Pietralcina), dove pregava notte e giorno. Il figlio, però, non si riprendeva. Cosi', ancor più convinta dalla strada spirituale, propose ai medici il trasferimento del suo povero figlio nella "Casa del sollievo e della sofferenza". Il figlio venne prontamente collocato nella struttura ospedaliera, creata dallo stesso Padre Pio ed ubicata in San Giovanni Rotondo.
La madre continuava a pregare. Pregava, pregava, pregava e pregava. Lei si rivolgeva ad un'entità superiore, chiedendo con estrema riverenza la guarigione del figlio.

Marisa dava del "lei" al suo interlocutore astratto. "Salvate mio figlio, non chiedo altro. Vi prego, non fatelo morire. Vi supplico, salvatelo. Siete la mia sola speranza, voi solo potete guarirlo. Vi prego!", diceva con sincera disperazione. Spendeva fiumi di lacrime ogni giorno. Le sue forze fisiche vennero terribilmente minate dalle snervanti e reiteranti preghiere. Il figlio restava in coma, ma la donna continuava a pregare. Pregava senza sosta.
Ma chi pregava Marisa? A chi erano rivolte le sue suppliche? A chi affidava le sue speranze? Si rivolgeva a Dio? No. Le sue preghiere, le sue speranze, le sue suppliche erano rivolte a San Pio. Dio non veniva neanche citato nelle sue lunghe e tormentate preghiere. Marisa si rivolgeva a San Pio. Solo a San Pio.

Il figlio di Marisa mori' tra le mura della "Casa del sollievo e della sofferenza".
La donna interpretò l'accaduto come il frutto della idilliaca volontà divina e ne fu quasi contenta.
"Adesso lui è in cielo. Probabilmente avrà gia incontrato il buon Padre Pio, che lo ha assistito nel lungo periodo di sofferenza".
(La bontà divina, comunque vada, c'entra sempre)

Adesso:
"Il monoteismo è la fede in una sola divinità, identificata come Dio". Nel caso di Marisa, c'è la fede in una sola divinità, ovvero Dio? Oppure Padre Pio è Dio? Un cattolico, facente parte di una religione monoteista, dovrebbe rivolgersi unicamente a Dio o può anche dialogare con altri soggetti metafisici? Il cattolicesimo, nella sua pratica, è realmente una religione monoteista?
La chiesa, come tutore della retta condotta religiosa, non dovrebbe impedire che ci siano degenerazioni politeistiche (semmai tali degenerazioni ci fossero)?

Restano inevase le mie domande?

Infine:
C'è una differenza tra le molteplici divinità romane (o greche) e i diversi santi protettori facenti parte della nostra religione monoteista?

sabato 14 novembre 2009

La storia dell'uomo che invece di combattere e vincere, tentò di cambiare e perse.

Vastaso, un modesto impiegato, aveva deciso di trascorrere la serata in maniera del tutto inusuale. Egli desiderava ardentemente uscire dal suo modesto e angusto status sociale per sentirsi, almeno per una sera, socialmente elevato. Da piccolo-borghese a borghese: avvertiva la necessità di un simile salto, anche solo per una sera.
Il teatro era il luogo ideale. Il teatro: la dimora dell'alta borghesia.

L'impiegatuccio decise di lasciare la povera moglie a casa e data la sua mansione di casalinga, si sarebbe trovata più che bene tra le mura domestiche. Due biglietti sarebbero costati troppo e loro soldi non ne avevano a sufficienza.
Vastaso estrasse abilmente il suo vestito elegante dal fatiscente armadio che occupava un angusto angolino della stanza da letto e dopo averlo opportunamente indossato ed essersi cosparso di acqua profumata, varcò il portonaccio ligneo della sua triste abitazione per raggiungere il grande teatro della città.
La moglie, il cui fisico era stato irrimediabilmente corrotto dalle fatiche domestiche, lo fissava con malinconica invidia. Avrebbe preferito seguirlo, ma non poteva. Inoltre, ad una casalinga è biologicamente vietato entrare in un teatro.


Avvocati, medici, industriali, commercianti: il teatro era occupato da gente "perbene", gente che ci sa fare, che può tranquillamente permettersi una serata al teatro, pagando magari il biglietto all'intera platea.
Vastaso acquistò immediatamente il suo biglietto. Lo tenne stretto tra le mani come fosse un lingotto d'oro che avrebbe cambiato positivamente e sempiternamente la sua esistenza.
Entrò timidamente nell'immenso teatro. Dopo un momento iniziale di timido smarrimento, il suo sguardo da impiegato venne catturato dall'iperbolica grandiosità dello spazio scenico. Un gigantesco palcoscenico, la cui scenografia era oscurata quasi interamente da un folto sipario rosso fiamma. Infatti era visibile soltanto il proscenio che si presentava mille volte più grande del piccolo palco sul quale, da giovane, Vastaso partecipava alle recite parrocchiali. In quel dato momento, la sua mente ed il suo cuore vennero conquistati dal ricordo di suo padre, un uomo fisicamente e psicologicamente cagionevole che mori' suicida all'età di quarantacinque anni. Lo sguardo di Vastaso si distolse dal palcoscenico.
Il pensiero del suo caro padre defunto accendeva un potente fuoco nel suo cuore. Un'emozione fortissima dominava il suo fisico e fu proprio in quel momento che Vastaso si vergognò del soggetto dei suoi pensieri. "Sono in un teatro, tra la gente perbene. Come posso pensare a quel debole di mio padre? Questa sera sono forte. E' ridicolo stare in un teatro e pensare al proprio padre defunto". E subito smise di pensare al padre e tornò ad ammirare l'incredibile palcoscenico.
Si impegnò alcremente per trovare il suo posto a sedere.
Leggendo sul prezioso biglietto, vide il numero della sua poltrona. La numero 56.
Lentamente si muoveva tra le comode e sfarzose poltrone rosse mentre i suoi occhi restavano fissi sul palcoscenico.
La sala si riempi' immediatamente di genti stupendamente vestite e ornate di preziosi gioielli luccicanti.
Lo spettacolo stava per cominciare.
Vastaso aveva occupato il suo posto. Un'anziana donna era seduta alla sua destra mentre la poltrona alla sua sinistra era occupata da un giovane sui trent'anni. Vastaso ne aveva cinquanta e si riteneva profondamente vecchio. Lamentava continuamente dolori fisici dovuti, secondo il suo inespertissimo parere, allo sfiorire della giovinezza e al mordace mostro della vecchiaia che progressivamente lo attirava tra le sue fauci bavose.
Lo spettacolo, come sempre accade, tardava a cominciare.
Vastaso, senza ritegno, gettò i suoi occhi sulla grandiosa pelliccia indossata dalla donna seduta al suo fianco.
Un favoloso pellicione marroncino, prodotto con pelo di visone, probabilmente. Gli occhi dell'impiegato erano illuminati da un interesse spasmodico nei confronti di quell'indumento che rasentava il sacro. Senza accorgersene, disse ad alta voce: "Mi piacerebbe regalarla a mia moglie...ma con quali soldi?". La donna si voltò rapidamente e notò lo sguardo spudorato di Vastaso, gettato sulla sua calda pelliccia. Un'espressione di profondo sdegno accompagnò la rugosa faccia femminile. Vastasto era come incantato da quel magico pelo. La donna, presa dalla collera, si alzò rapidamente e cambiò posto.
Vastaso continuò a seguirla con lo sguardo. Sembrava avesse visto una creatura paradisiaca, un angelo sceso sulla terra che lentamente tornava nella sua dimora originaria: il paradiso celeste.
La poltrona di destra era vuota. La donna se ne era andata chissà dove.
Vastaso non aveva nulla da guardare. Cosi', quasi istintivamente, si voltò dalla parte opposta e prese a scrutare il giovane posto alla sua sinistra. Questi indossava un elegante completo nero, ornato da una fulgida cravatta rossa e squisitamente accompagnato da un paio di scarpe nere, parecchio costose e lucenti. La loro estrema lucentezza avrebbe accecato qualsiasi occhio umano ma non quello interessato di Vastaso. Gli occhi di un impiegato resisterebbero a tutto pur di ammirare un paio di scarpe esclusive e, ahimè, irraggiungibili.
Vastaso fu come fulminato da quelle calzature angeliche. Le desiderava ma sapeva bene che il suo desiderio era destinato ad infrangersi. Nonostante la chimera, egli continuava imperterrito ad osservare quelle scarpe. E sognava di averle.
Il giovane, accortosi degli sguardi inopportuni ai quali erano soggetti le sue calzature, si rivolse apertamente al suo vicino: "Per quale assurdo motivo sta fissando cosi cocciutamente le mie scarpe?", disse stizzosamente.
Vastaso non rispose. Era troppo impegnato a guardare.
Il giovane, ancor più in collera di prima, ripetè la domanda: "Dico a lei. Perchè continua a fissare le mie scarpe?!". Il silenzio più totale. Vastaso non aveva intenzione di rispondere al giovane. La sua mente e i suoi occhi erano troppo impegnati ad osservare quel miracoloso prodotto della laboriosità umana.
Improvvisamente il giovane, carico di rabbia, si tolse le scarpe e le gettò lontano, quasi fin sotto il palcoscenico. Adesso indossava i soli calzini. Il trentenne si sentiva profondamente soddisfatto. Gonfiò il petto e lanciò un timido sorriso di viva autoammirazione.
Per Vastaso non era accaduto nulla. Le scarpe non c'erano più e allora cominciò ad osservare attentamente la cravatta rossa. I suoi occhi brillavano di gioia. Godeva spasmodicamente nel vedere quella cravatta. Disse con voce timida e malinconica: "Magari potessi averne una uguale...". Il giovane riusci' a udire la voce dell'impiegato e velocemente rispose: "E perchè non corre a comprarsela, cosi' la smette di guardarmi come un deficiente!".
Vastaso udi' il "deficente" e subitò staccò lo sguardo dalla cravatta, per gettare gli occhi su quelli del suo vicino. La felicità che poco prima era dipinta sul suo viso, scomparve immediatamente, lasciando spazio ad un'espressione carica di disperazione. Vastaso si era offeso. Profondamente.
Il giovane iniziò a temere qualche violenta risposta. Aveva pur sempre dato del "deficiente" ad uno sconosciuto.
Il viso di Vastaso cominciò a tingersi di rabbia. La rabbia dell'impiegato sarebbe stata implacabile, se solo si fosse sfogata. La paura del giovane cresceva esponenzialmente. Vastaso era furioso. A momenti avrebbe colpito colui che lo aveva insultato, con un violento pugno sul viso. Avrebbe cosi' risposto prontamente all'insulto proferito nei suoi confronti.
La rabbia cresceva. La faccia di Vastaso divenne famelicamente feroce. Il giovane temeva per la sua incolumità.
Vastaso fece schioccare le sue dita. Si stava preparando al pugno. Il giovane, data la paura, probabilmente non avrebbe reagito al pugno del suo vicino di poltrona.
Vastaso si corciò la manica destra della giacca. Il giovane era immobilizzato dalla paura. Il suo giovane viso si era tinto di bianco. Il trentenne sembrava invecchiato tutto di un tratto, come se la vecchiaia avesse anticipato vertiginosamente i tempi della sua venuta.
Vastaso alzò minacciosamente il braccio destro e chiuse ermeticamente la mano. Le massicce dita impiegatizie formavano un micidiale pugno che avrebbe flagellato il naso del povero giovane, anche se fosse stato il naso di una scultura marmorea.
Il bracciò prese una lunga rincorsa. L'obiettivo stava per essere colpito da quel terribile pugno.
Il braccio si distendeva minacciosamente. Nessuno avrebbe salvato il naso del povero giovane. Nessuno.

Il giovane chiuse gli occhi. Il pugno sarebbe arrivato a destinazione ed il suo naso avrebbe subito un duro colpo. Un colpo fatale, brutale, micidiale.
Il giovane era rassegnato. Si avverti' un potentissimo colpo: un rumore di ossa infrante. Ecco,è successo.

Il giovane non avvertiva nessun tipo di dolore. Un urlo di estremo dolore si diffuse tra la platea.
Il giovane apri' rapidamente gli occhi. L'apparente vecchiaia abbandonò il suo viso e la serenità giovanile tornò a dipingere il suo volto. Con stupore, il giovane vide Vastaso a terra, con le mani piene di sangue e il naso rotto.
Vastaso piangeva per il dolore. Il giovane non capiva cos'era successo. Vastaso cessò di urlare e rapidamente si voltò verso il giovane e disse con voce tremante e riverente: "Mi dispiace, non intendevo offenderla con il mio sguardo" e indicando il suo naso frantumato, continuò: "questa è la giusta punizione per la mia imprudenza. La prego di perdonarmi. Mio signore..."
Il giovane era il figlio di un noto banchiere ed avrebbe presto ereditato la banca paterna.
Vastaso venne assunto dal giovane come "schiavo personale".

La pedofilia di Maometto (e Sant'Agostino)


Daniela Santanchè, nell'ormai noto teatro di "Domenica Cinque, ha lanciato l'ennesima elucubrazione carica di onestà e acume, doti che gli appartengono particolarmente.
Il leader del novello "Movimento per l'Italia" ha affermato che Maometto è "un pedofilo perchè aveva una bambina di nove anni come moglie".
A questo punto io mi chiedo: può essere considerato "pedofilo" un soggetto vissuto tra il 570 e il 632 d.c.?
Ma la brillante Daniela Santanchè ha immediatamente risposto a questa domanda. Infatti, Maometto è considerato un pedofilo secondo i valori della nostra società. Quella cristiana, presumo.
Bene. Se consideriamo Maometto come un pedofilo, per quale motivo non dobbiamo considerare come tale anche S.Agostino, personaggio essenziale della "nostra" società cristiana?
Infatti, il buon S. Agostino, fautore dell'"Ama e fa ciò che vuoi" e già concubino, possedeva come amante una bambina di dieci anni. Quel santone di Agostino aveva una relazione con una fanciulla di dieci anni. Lo sapevate?Certamente, no.
A questo punto, una cosa è certa: il santissimo Sant'Agostino è meno pedofilo del demoniaco Maometto, perchè la moglie di Maometto aveva nove anni mentre l'amante di Agostino ne aveva dieci. C'è dunque un anno di differenza.
Se (prendendo come buona l'affermazione della Santanchè) consideriamo Maometto come un pedofilo, allora anche Sant'Agostino merita di essere considerato nel medesimo modo. Un'ulteriore quesito si propone: può un pedofilo divenire santo? Evidentemente si.
Il mio desiderio però non è quello di denunciare la biografia agostiniana bensi' è quello di criticare una macabra tendenza che sta meschinamente prendendo piede in seno alla nostra società. Infatti, la tendenza degli "integralisti" cattolici è quella di denigrare e dipingere demagogicamente le altre religioni concorrenti, con maggiore attenzione a quella musulmana. Il tentativo di soggetti come Daniela Santanchè è quello di ricorrere a determinati slogan utili ad impattare violentemente contro l'apparato emotivo dell'ascoltatore, creando in esso un sentimento di istintivo odio e mordace disprezzo nei riguardi di un dato gruppo di soggetti. Il cattolico, oggi, ha il sacro compito di denigrare, svalutare e minare le altre religioni monoteiste che possono, in qualche modo, sottrarre consensi a quella cristiana. I dieci comandamenti diventeranno undici. L'undicesimo reciterà questo: "Disprezza colui che appartiene ad una religione diversa dalla tua".
Concludo con un augurio: spero vivamente che programmi televisivi come "Domenica Cinque" vengano immediatamente e inequivocabilmente soppressi. La nostra intelligenza è in serio pericolo.

Il PD (meno L): ed è proprio questo il guaio!


Voglio qui sfatare un luogo comune, secondo il quale il PD sarebbe una fazione politica di sinistra. Il Partito Democratico, che al suo interno racchiude cattolici, radicali e chi più ne ha più ne metta, non può ritenersi ed essere ritenuto un partito di sinistra.
Le dichiarazioni di Michele Emiliano (segretario del Partito Democratico in Puglia e sindaco di Bari) appaiono, e sono, piuttosto eloquenti. Emiliano parlava cosi' a L'Espresso il 23 luglio del 2009: "[...]dobbiamo avere il coraggio di dire che il PD è un partito fraternamente anticomunista".
Il PD, secondo Michele Emiliano (e non solo), non è un partito comunista. Anzi, si oppone alacremente all'ideologia comunista. Silvio Berlusconi, l'uomo dalla "caratura imparagonabile", ha proprio ragione: i comunisti sono una cancrena per la nostra società e vanno combattuti (sich!).
Ma se il PD non è comunista, sarà almeno socialdemocratico. No. Emiliano continua: "la nostra identità non sarà quella socialdemocratica ma democratica, in senso Obamiano" (ancora questo Obama!). Ne comunisti, ne socialdemocratici.
Cos'è dunque il Partito Democratico? Un partito di sinistra non lo è certamente.
Il neo segretario nazionale P.Luigi Bersani ci offre una risposta netta e inequivocabile: il partito democratico è un "partito popolare".
Ma una volta, non erano i comunisti ad essere popolari?

mercoledì 11 novembre 2009

Una pestifera mediocrità

"I miei sogni sono perennemente popolati da quei tronchi lunghi e snelli, sormontati da compatti batuffoli di foglie appuntite."


Desidero trasferirmi a Roma. Vorrei trascorrere la mia esistenza tra le confortevoli rovine dell'impero romano e le stupefacenti costruzioni pre-novecentesche e fasciste.
Questo bisogno fisiologico mi affligge: Roma deve essere la mia città, la mia culla, la mia eterna casa.
Vivere e lavorare a Roma. Magari in un teatro, come regista. Fare il regista teatrale a Roma.
Trascorrere le domeniche fuori dalla città per esplorare luoghi come l'Agro Romano, Aprilia, Anzio, Nettuno.
Il solo atto del pensare a luoghi del genere mi rende vittima di una profonda e paralizzante emozione (positiva o negativa?).
L'Agro Romano è una sorta di paradiso minore che circonda e introduce il grande paradiso: Roma.
Mi piacerebbe avere un terreno sull'Agro Romano. Coltiverei ortaggi nel mio tempo libero. Il raccolto lo regalerei a chi ne ha bisogno.

Quel film mi ha cambiato la vita. Quel film mi ha cacciato in un brutto pasticcio: ha creato il desiderio romano e nel medesimo istante ha rafforzato la consapevolezza dell'inesaudibilità dello stesso. Quale film? Quel film: "Caro Diario".
La Garbatella, Vigne Nuove, Monteverde, Casal Palocco, Spinaceto (Spinaceto!!): esistono realmente luoghi del genere?
In un primo istante, ho creduto che "Caro Diario" fosse la prima opera fantascientifica di Nanni Moretti. Poi mi sono prontamente corretto: Roma esiste. Io la voglio. Ma non posso.
Perchè non posso?
Perchè sono un'idiota, ignorante e incapace. Un mediocre che si è radicato in luogaccio (Roseto) che, per pigrizia e timidezza, non riuscirà mai ad abbandonare.
Il mio desiderio di vivere a Roma è vanificato dalla mia stessa volontà. Io voglio ma non posso, per colpa mia.
Spesso mi dico: conquisterò Roma. Poi aggiungo: conquisterò Roma come Napoleone ha conquistato l'Inghilterra. Quindi, non conquisterò mai realmente (o effettivamente ) Roma.
La mia vita sarà contraddistinta da continuo desiderio inappagato.
Il mio destino (esiste il destino?) si è espresso in maniera netta: Roseto resterà la mia città, la mia culla, la mia squallida abitazione.
Non ho neanche il coraggio di morire.

lunedì 9 novembre 2009

La mia conversione!

Oggi mi sono reso protagonista di un evento che ha cambiato radicalmente la mia esistenza da miscredente. Io credo in Dio, dopo quello che mi è successo oggi. Dio è buono. La sua bontà mi lascia increbilmente felice. Quasi non credo che un tale essere possa disporre di una tale bontà. Io amo Dio. Lo adoro. Voglio venerarlo per tutta la vita.

Quello che mi è accaduto oggi è straordinario. Un miracolo!
Il miracolo è la prova dell'esistenza di Dio. Dio è buono!

La mia vita è cambiata. Sono un uomo nuovo. Sono un servo di Dio. Un umile servo disposto a farsi bastonare dal suo padrone iperbolicamente benevolo, filantropico, caritatevole, onnipotente e onnisciente.

Oggi stavo uscendo di casa, con addosso la mia assurda e meschina miscredenza. Come potevo uscire di casa con al collo il greve mostro dell'ateismo, che opprimeva e mistificava la mia esistenza?
Scendevo le scale della mia casa infedele. Mia madre, mio padre e mio fratello: non vanno mai alla messa della domenica. Sono degli infedeli! Come posso vivere in un tale ambiente? Il demonio è in agguato e come una cappa impenetrabile aleggia sulla mia casa. Satana ha conquistato il corpo e la mente dei miei familiari. Io ho trovato la luce di Dio. Sono sfuggito al demonio.

Dopo aver varcato il cancello, sono uscito sulla fredda strada invernale. C'era molta nebbia. Una nebbia fittissima, di una densità quasi soprannaturale. Un segno divino, certamente.
La visibilità era praticamente nulla. Mi sembrava di essere cieco.
Presi a camminare lentamente. Mantenevo la testa bassa e lo sguardo fisso sulla strada, per distinguere bene i miei passi e capire dove mettevo i piedi.
Improvvisamente vedo una strana sostanza a pochi centimetri dal mio piede. Una sostanza bruna. Le mie narici vengono invase da un leggero ma nauseante odore. Era una merda. Di cane, probabilmente. In quel momento ero sovrappensiero. I miei occhi avevano veduto quell'infausto elemento ma, sul momento, non pensai affatto che potevo calpestarlo.
Improvvisamente il mio piede ha magicamente (anzi, miracolosamente) varcato l'escremento senza toccarlo minimamente.
Non ho calpestato la merda! Un miracolo!
Dio ha evitato che la mia dolce scarpa si macchiasse di cacca.
Dio è infinitamente buono!
Non posso pensare che ho rischiato di calpestare una merda e solo grazie a Dio mi sono salvato. La bontà divina è straordinariamente grande.

D'ora in poi servirò Dio con una tale riverenza da fare invidia ai più grandi e retti servi di Dio, come San Pio da Pietralcina.

Padre Pio da Pietralcina? Forse è stato lui a salvare la mia scarpa dalla demoniaca merda...ma certo, non può essere stato che lui, il più grande esecutore di miracoli che l'umanità abbia mai conosciuto.

Servirò Padre Pio. Dio è buono ma Padre Pio di più.

Mio dio Padre Pio, ti dedico questa preghiera:

"PADRE PIO, che sei a S.Giovanni Rotondo, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo cosi' in terra. Dacci oggi il nostro miracolo quotidiano, e ridacci i nostri denari come noi li diamo a te, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male."

giovedì 5 novembre 2009

L'egemonia capitalistico-borghese sul cinema italiano

I cinepanettoni, tanto apprezzati e difesi dalla massa, costituiscono l'esempio lampante dell'influenza capitalistico-borghese sull'arte cinematografica.
L'attuale società (la nostra) dominata dal potere borghese (ovvero delle multinazionali e della grande imprenditoria) non fa altro che rispettare una "norma" fondamentale di ogni epoca storica: il potere economico e politico influenza (e addirittura caratterizza) l'arte. L'arte non è altro che un'interfaccia di chi detiene il potere economico: questo accadeva con Goldoni e accade con i cinepattoni e i "mocciosi" (ossia i subprodotti per subumani di Federico Moccia).

L'influenza esercitata dal potere capitalistico-borghese sull'arte cinematografica non è per nulla dissimile da quella travagliata dal regime fascista sul cinema (cinema dei telefoni bianchi): anestetizzare le masse allontanando la loro mente dalle tematiche socialmente utili, ovvero insidiose per il regime (sia esso fascista o capitalistico-borghese, semmai ci fosse una differenza).

Prendiamo un cinepattone.
Nel famoso "film di natale" assistiamo a vicende che hanno per protagonisti personaggi appartenenti alla medio-alta borghesia: medici, avvocati, architetti, industriali, eccetera. Può un operaio permettersi un viaggio a New York, Beverly Hills, ecc. soggiornando in lussuosi hotel?
Credo di no. Il cinepanettone racconta un mondo borghese nella maniera borghese, ovvero mostrando vicende vacue dal punto di vista dei problemi che affliggono i deboli.
Se non viene raccontato l'operaio, come possono essere affrontate tematiche che lo riguardano?

Ma il carattere inquietante è uno: i deboli sono contenti di essere ignorati e si divertono nel vedere un mondo che non gli appartiene (e mai gli apparterrà). Ridono dell'imbroglio ordito dal potere borghese nei loro confronti.

Inoltre:

Il boom economico segna, in Italia, l'ascesa del potere capitalistico-borghese che vedrà rafforzata la sua egemonia culturale, politica, economica grazie alla spasmodica diffusione del mezzo televisivo. (La televisione: ciò che è mancato ai regimi storici come quelli fascisti e in alcuni casi comunisti).
Il regime fascista non è riuscito a caratterizzare interamente il mondo culturale, politico ed economico. Il regime capitalistico-borghese ci sta riuscendo. E' in atto il genocidio delle menti pronosticato da Marx: il consumismo, il maniacale "stare al passo con i tempi", il dandismo sono diventati caratteri essenziali dell'agire e del pensare delle masse odierne.

Una piccola elite resiste.
Il potere borghese ha sovvertito anche il concetto stesso di elite. Se nel passato remoto, l'elite veniva considerata come un qualcosa di negativo, oggi essere definiti "elitari" significa ricevere un complimento. L'elite di oggi è quella positiva aristocrazia che si dissocia dalle menti delle masse manipolate dal meschino potere capitalistico borghese.
Dicevo: il boom economico segna l'avvio dell'egemonia capitalistico-borghese. E allora pongo questo quesito:
Perchè dopo il boom economico scoppiò la moda del "cinema erotico alla Alvaro Vitali" privo di senso e di contenuti socialmente utili?
Il cinema "qualunquista" di Lino Banfi, Alvaro Vitali, Gianfranco D'Angelo, JERRY CALA, è lo specchio evidente del dominio capitalistico-borghese, proprio come i cinepanettoni.
Rossellini, De Sica, Monicelli, Risi, PASOLINI: non esistono più. E mai torneranno

Qualcuno, come Nanni Moretti, resiste.
Altri (vedi Matteo Garrone) trascorrono le loro vacanze in Sardegna con la squallida compagnia di personaggi del calibro di Valeria Marini...

lunedì 2 novembre 2009

Bello, Bellezza (da Voltaire)

Spesso noi attacchiamo (e condanniamo) la civiltà islamica per le sue leggi e le sue consuetudini, le quali ci appaioni squallide, brutte, insensate, crudeli e chi più ne ha più ne metta.
A tal proposito voglio inserire uno spezzone tratto dal "Dizionario Filosofico" di Voltaire, che si presenta sotto la voce "Bello, bellezza": (tutto è relativo)


"Chiedete a un rospo cos'è la bellezza, il bello assoluto, to kalòn. Vi risponderà che è la sua femmina, con i suoi
due grossi occhi rotondi sporgenti dalla piccola testa, la gola larga e piatta, il ventre giallo, il dorso bruno. Interrogate
un negro della Guinea: il bello è per lui una pelle nera, oleosa, gli occhi infossati, il naso schiacciato.
Interrogate il diavolo: vi dirà che la bellezza è un paio di corna, quattro artigli e una coda. Consultate infine i
filosofi: vi risponderanno con argomenti senza capo né coda; han bisogno di qualcosa conforme all'archetipo del bello
in sé, al kalòn.
Assistevo un giorno a una tragedia, seduto accanto a un filosofo. «Quant'è bella!», diceva. «Cosa ci trovate di
bello?» domandai. «Il fatto,» rispose, «che l'autore ha raggiunto il suo scopo.» L'indomani egli prese una medicina che
gli fece bene. «Essa ha raggiunto il suo scopo,» gli dissi, «ecco una bella medicina!» Capì che non si può dire che una
medicina è bella e che per attribuire a qualcosa il carattere della bellezza bisogna che susciti in noi ammirazione e
piacere. Convenne che quella tragedia gli aveva ispirato questi due sentimenti e che in ciò stava il kalòn, il bello.
Facemmo un viaggio in Inghilterra: vi si rappresentava la stessa tragedia, perfettamente tradotta, ma qua faceva
sbadigliare gli spettatori. «Oh, oh,» disse, «il kalòn non è lo stesso per gli inglesi e per i francesi.» Concluse, dopo molte
riflessioni, che il bello è assai relativo, così come quel che è decente in Giappone è indecente a Roma e quel che è di
moda a Parigi non lo è a Pechino; e così si risparmiò la pena di comporre un lungo trattato sul bello".
L'esistenza di dio, o la sua assenza,
non mi è remota
abbiamo appuntamento tutti i giorni

ora di pranzo, lui si materializza,
si transustanzia in un
campari soda

CLAUDIO LOLLI

Quello che mi ha colpito, a livello formale, è l'aver scritto "dio" con la lettera minuscola, quasi in segno di disprezzo nei riguardi del divino. Anzi, più che disprezzo direi una ragionevole mancanza di rispetto: "perchè devo rispettare un qualcuno (o un qualcosa) al quale non credo e dal quale non ricevo rispetto?".
dio ci disprezza. Il suo incorruttibile silenzio denigra l'essere umano, il quale ha l'innato bisogno di attribuire un certo senso alla propria esistenza. Il silenzio di Dio soddisfa parzialmente questo bisogno, bene che vada.
La mutezza divina può essere infranta? No. Semplicemente perchè dio non esiste.

La conclusione (o l'insegnamento) che traggo da questa sacra poesia è questo: ognuno ha il suo dio.

Il sole irriverente

"Tra cinque miliardi di anni il sole scoppierà. L'esplosione sarà talmente forte che la Terra verrà completamente distrutta e la razza umana annientata."


Il sole aveva smesso di illuminare e riscaldare.
La Terra era diventata buia e fredda. Era sempre inverno.
L'estate non esisteva più.
Ci furono diverse manifestazioni di protesta. "Rivogliamo il sole!", gridavano furiosamente i manifestanti. Questi credevano che il sole era stato portato via da chi deteneva il potere. Sempre il potere, sempre colpa del potere. Ma nessuno aveva rubato il sole.
Il sole se ne era andato da solo. Autonomamente e arbitrariamente.
Era stufo di assistere gli umani, che non meritavano la sua sacra presenza.
"Irrispettosi, cinici, violenti, ipocriti, ignobili siete voi!", aveva urlato il sole rivolgendosi agli umani.
E cosi' aveva deciso di partire, attraversare la galassia per arrivare fino a Plutone. Plutone: aveva davvero bisogno di luce e calore.
Il sole desiderava solitudine e tranquillità. E Plutone, con la sua iperbolica isolatezza, era il luogo ideale per soddisfare il bisogno solare.

Gli esseri umani soffrivano a causa del continuo e pesante gelo. Molti morivano. Troppi.

Un piccolo drappo di uomini, a bordo di una avveniristica navicella, parti' alla volta di Plutone per intrattenere un dialogo con il sole e convincerlo a tornare al suo posto originario, naturale.
La razza umana attendeva trepidamente l'esito dell'incontro. I baldanzosi uomini erano arrivati a destinazione ma da quel momento non si ebbe più alcuna notizia di loro. Che fine avevano fatto? Passarono diversi giorni. Nessuna risposta. Cominciarono a darli per dispersi. Le speranze umane di rivedere l'equipaggio e il sole erano ormai svanite.

Intanto la gente continuava a morire.
Tutti gli esseri umani presero una decisione: avrebbero costruito un mastodontico termosifone per sostituire il sole e riscaldare cosi' il globo.
Per la luce solare, c'era tempo. Adesso l'importante era riscaldarsi per sfuggire al freddo inumano.

Iniziarono i lavori. Si lavorava notte e notte: il giorno non sussisteva più. Passarono degli anni. Lunghi anni.
Fatiche e bestemmie: il termosifone salvavita era quasi concluso.
Tutto era pronto per la sua installazione. La terra era finalmente salva. Le morti dovute all'assenza del sole erano ormai giunte al termine.

Improvvisamente un tiepido e timido raggio di luce invase la Terra. Tutta.
Cosa stava accadendo?
Gli umani non ci misero poco a capirlo: il sole stava tornando!

La luce divenne sempre più forte fino a quando la comune palla di luce gialla era nuovamente ricomparsa a brillare nell'azzurro cielo.

La felicità era alle stelle. Il sole era tornato!
Feste, musiche, banchetti, risse, fuochi d'artificio: la radiosità e il calore umani erano nuovamente tornati.

CINQUE MILIARDI DI ANNI DOPO, il sole aveva fatto il suo ritorno sulla Terra.

EPURAZIONE della M***A (f******a)

Cade la sostanza, bruna
immane, morbida,
infame, Fetida.

astrattezza fisica,
immondo l'ambiente.
il fetore

sale, scende.
(acqua, aria)
scompare.